Ariano Irpino (già Ariano di Puglia[6] fino al 1930, semplicemente Ariano[7] nelle fonti storiche e in dialetto arianese) è un comune italiano di 21 243 abitanti[1] della provincia di Avellino, in Campania.
Ariano Irpino comune | |
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Localizzazione | |
Stato | Italia |
Regione | Campania |
Provincia | Avellino |
Amministrazione | |
Sindaco | Enrico Franza (PSI) dal 5-10-2020 |
Territorio | |
Coordinate | 41°09′10″N 15°05′20″E |
Altitudine | 788 m s.l.m. |
Superficie | 186,74 km² |
Abitanti | 21 243[1] (31-12-2021) |
Densità | 113,76 ab./km² |
Comuni confinanti | Apice (BN), Castelfranco in Miscano (BN), Flumeri, Greci, Grottaminarda, Melito Irpino, Montecalvo Irpino, Monteleone di Puglia (FG), Savignano Irpino, Villanova del Battista, Zungoli |
Altre informazioni | |
Cod. postale | 83031 |
Prefisso | 0825 |
Fuso orario | UTC+1 |
Codice ISTAT | 064005 |
Cod. catastale | A399 |
Cl. sismica | zona 1 (sismicità alta)[2] |
Cl. climatica | zona E, 2 410 GG[3] |
Nome abitanti | arianesi |
Patrono | sant'Ottone[4] |
Giorno festivo | 23 marzo |
Soprannome | la Città del Tricolle[5] |
Cartografia | |
Posizione del comune di Ariano Irpino all'interno della provincia di Avellino | |
Sito istituzionale | |
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Sorta in altura a cavallo degli Appennini e dotata di un vasto tenimento al crocevia di antichi itinerari, la cittadina acquisì presto rilevanza strategica elevandosi fin dall'alto medioevo a sede di diocesi e di contea.
Prescelta da re Ruggero II il Normanno che vi tenne le celebri assise, rinomata per l'arte della maiolica, si fregia del titolo di città[8] e del ruolo di ente capofila[9] nell'ambito dell'estremo entroterra regionale, a diretto contatto con la Puglia.
La città sorge nel settore nord dell'Irpinia, in posizione baricentrica tra i mari Tirreno e Adriatico; la linea spartiacque attraversa infatti per decine di chilometri il suo territorio[10], al cui interno è situato il principale valico dell'Appennino campano: la sella di Ariano. L'agro rurale, ricco di sorgenti[11], è lambito dai fiumi Ufita e Miscano (subaffluenti del Volturno, sul versante tirrenico) e solcato dall'alto corso del Cervaro (tributario del lago Salso e del litorale adriatico). Grazie ai suoi 186,74 km² è il comune più esteso della Campania[12].
Riconosciuto per legge come interamente montano[13], il suo territorio è costituito da stratificazioni detritiche a elevato tenore in carbonato di calcio, assai tenere e spesso fossilifere, con altitudini variabili dai 179 agli 811 m s.l.m.[4][14]. Il paesaggio è verdeggiante, a tratti pittoresco, sovente inciso da valli incassate ove non mancano i dirupi (di natura puramente erosiva[15]); fanno eccezione gli ampi altipiani ondulati degli estremi settori nord-orientali (tra la valle del Cervaro e il bacino del Miscano), poggianti su rocce relativamente più antiche e compatte[15], nonché le ristrette piane alluvionali localizzate all'opposto margine, presso lo sbocco del torrente Fiumarelle nella valle dell'Ufita[16]. Degna di nota è inoltre la presenza di una fonte sulfurea tra le contrade Pignatale e Santa Regina, mentre una piccola salsa sgorga alle falde del santuario di San Liberatore, in località Acquasalza[17].
Il centro cittadino si erge in posizione dominante su tre alti rilievi (Castello, Calvario e San Bartolomeo), da cui il soprannome di città del Tricolle[5]. Dai punti più panoramici (e in particolare dalla sommità del castello) si ammirano a ovest i massicci del Taburno e del Partenio, a sud il Terminio-Cervialto e l'Appennino lucano, a est il Vulture con i monti della Daunia e a nord l'Appennino sannita con il massiccio del Matese e, più in lontananza, i monti della Meta e la vetta della Maiella, sicché sono visibili alcuni scorci di 6 delle 20 regioni italiane[18].
Situata presso il margine settentrionale del distretto sismico dell'Irpinia, la città ha risentito inoltre dei movimenti tellurici avvenuti nel limitrofo Sannio, quali il terremoto del 1349 e il sisma del 1688. Viceversa gli eventi con epicentri localizzati nel settore meridionale dell'Irpinia sono risultati relativamente meno disastrosi: un esempio è dato dal terremoto del 1980 che provocò una sola vittima in ambito cittadino[19].
Tra il 1300 e il 2000 si sono verificati 10 terremoti rilevanti (nel 1349, 1456, 1517, 1688, 1694, 1702, 1732, 1930, 1962, 1980), in media uno ogni 70 anni ma con intervalli variabili da un minimo di 6 a un massimo di 198 anni[20]. Scarse sono invece le informazioni relative ai secoli precedenti, con un unico sisma attestato (quello del 988, che causò molti danni); le indagini archeologiche nel sito di Aequum Tuticum hanno però permesso di individuare le tracce di due gravi terremoti avvenuti nel IV secolo, mentre da altri indizi si è dedotto che anche i sismi dell'847 e del 1125 siano stati intensi.[21]
Le condizioni climatiche locali sono complessivamente piuttosto variabili, mostrando caratteri di transizione tra il clima temperato umido, proprio delle alte montagne appenniniche, e il clima mediterraneo tipico delle fasce costiere.
Le precipitazioni sono moderate (di norma non eccedenti gli 800 mm annui)[23], generalmente concentrate per circa 2⁄3 tra l'autunno e l'inverno (con massimi intorno novembre-dicembre) mentre in primavera e ancor più in estate tendono a divenire occasionali (la piovosità minima si registra di solito in luglio-agosto)[24]. In ogni periodo dell'anno la forma prevalente di precipitazione è la pioggia, tuttavia nel corso del semestre freddo non mancano nevicate più o meno consistenti; durante la stagione calda possono inoltre verificarsi sporadiche grandinate. Le nebbie sono poco frequenti, mentre tra i venti prevalgono quelli occidentali.[25]
La stazione meteorologica di Ariano Irpino è ubicata nella parte alta della città, a quota 794 m s.l.m. Dall'analisi matematica delle medie termiche nel trentennio di riferimento 1961-1990 si evince che i valori minimi di temperatura si raggiungono mediamente nell'ultima decade di gennaio (mese più freddo con una media di +3,8 °C), quelli massimi agli inizi di agosto (mese più caldo con una media di +21,6 °C); in tale ultima fase si registra anche la massima escursione termica giornaliera, laddove il divario minimo si riscontra invece a metà dicembre. Ai primi di maggio e nell'ultima decade di ottobre si registrano infine i valori più prossimi alla temperatura media annua (pari a +12,3 °C).[26]
ARIANO IRPINO | Mesi | Stagioni | Anno | ||||||||||||||
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Gen | Feb | Mar | Apr | Mag | Giu | Lug | Ago | Set | Ott | Nov | Dic | Inv | Pri | Est | Aut | ||
T. max. media (°C) | 7,1 | 7,8 | 10,4 | 14,5 | 18,6 | 23,6 | 27,1 | 27,2 | 23,2 | 17,4 | 12,0 | 8,8 | 7,9 | 14,5 | 26,0 | 17,5 | 16,5 |
T. min. media (°C) | 0,6 | 0,9 | 3,0 | 6,1 | 9,7 | 13,7 | 16,0 | 16,0 | 13,9 | 9,6 | 5,6 | 2,7 | 1,4 | 6,3 | 15,2 | 9,7 | 8,2 |
(LA)
«Ara Dei Iani, quae camera nostra fuisti; |
(IT)
«O Ariano, che fosti la nostra roccaforte, |
(Itinerarium di Federico II, XIII secolo[27]) |
Sulla base di un astioso componimento poetico tardo-medievale (attribuito non senza riserve all'imperatore Federico II di Svevia)[27] si è ritenuto per secoli che il toponimo "Ariano" risalisse al latino Ara Dei Iani (="altare del dio Giano"), o più semplicemente Ara Iani (="altare di Giano"), con chiaro riferimento a un ipotetico sacello pagano svettante sul Tricolle nella remota antichità; la stessa sigla "AI" presente nel moderno stemma municipale trae origine da tale credenza, non essendo in alcun modo correlata all'attuale denominazione del comune[28], rispetto alla quale era anzi preesistente (sia pur non da molto tempo)[29]. Tuttavia, benché nelle fondamenta della cattedrale siano stati effettivamente rinvenuti reperti fittili riferibili a un antico tempio[30], gli studiosi contemporanei ritengono più verosimile che il lemma "Ariano" (attestato in tale forma fin dal lontano 782)[31] costituisca invece un attributo prediale derivante dal prenome personale Ario (in latino Arius)[32], sicché è presumibile che il reale significato etimologico fosse "terra di Ario" (in latino fundus Arianus)[33], o anche "castello di Ario" (castellum Arianum, forma quest'ultima effettivamente documentata nel IX secolo)[34], con probabile riferimento a un possidente della tarda antichità o del primo medioevo.
La formulazione "Ariano Irpino" (correlata al distretto storico-geografico dell'Irpinia) sostituì nel 1930 la precedente denominazione "Ariano di Puglia" (Arianum in Apulia in latino medievale)[35] che era stata resa ufficiale dal 1868[36] ma che risultava di uso comune già nei secoli precedenti[37], verosimilmente fin dai tempi del ducato di Puglia e Calabria che in epoca normanna gravitava su Salerno (considerata allora la capitale della Puglia[38], mentre volgare pugliese era il nome generico dei dialetti italiani meridionali); in effetti la contea di Ariano era stata assoggettata a tale ducato fin dall'XI secolo[39]. Ad ogni modo l'appartenenza storica dell'agro arianese alla terra degli antichi Irpini era ben nota al ristretto ceto colto locale, tanto che già nel 1512 il poeta neolatino Girolamo Angeriano scriveva: est urbs Hirpinis Arianum in collibus (="la città di Ariano negl'Irpini è sui colli")[40]. L'aggiunta di un epiteto al nome "Ariano" era comunque finalizzata a evitare confusioni con l'omonimo centro nel Polesine (anticamente nel Ferrarese)[37].
Le prime tracce umane si rinvengono nel settore nord del territorio comunale. In particolare lungo la sella di Camporeale emergono, in superficie o a poca profondità, numerosi e svariati strumenti di selce scheggiata ascrivibili all'industria musteriana[41] praticata nel paleolitico medio da cacciatori-raccoglitori di stirpe neandertaliana.
Il primo stabile insediamento agro-pastorale, il più antico della Campania[42], compare invece sulla vicina rupe de La Starza, alle cui falde vi è una fonte sorgiva perenne; ivi si rinvengono le vestigia di un intero villaggio di capanne risalente al neolitico inferiore e popolato poi pressoché ininterrottamente fino alle soglie dell'età del ferro. Testimonianze del neolitico medio-superiore emergono però anche altrove (alle località Acquazzuolo, Santa Maria a Tuoro, Trimonti), fin nel settore meridionale dell'agro (all'altezza della collina San Marco, presso la vallata della Fiumarella)[41][43].
Alle prime genti appenniniche subentrano gli Irpini, una bellicosa tribù italica di etnia sannitica e di lingua osca stanziatasi sul territorio in epoca preromana. A tale civiltà appartiene infatti il variegato vasellame artistico (anche del tipo kántharos) proveniente dai corredi delle piccole necropoli locali e ascrivibile alla cosiddetta cultura di Casalbore–Castelbaronia (secoli VI-V a.C.), tipica dell'area nord-irpina[41].
Altri reperti sparsi (intonaci di capanne, frammenti di olle, ceramica fine), quali quelli relativi a un antico insediamento sul colle Pàsteni, sono invece di più incerta datazione e potrebbero anche risalire all'età del bronzo[41]. Non si rinvengono comunque tracce di fortificazioni sannitiche, forse perché inglobate nei profondi basamenti del castello medievale; tuttavia alcuni materiali fittili reperiti nelle fondamenta della basilica cattedrale sembrerebbero attestare quantomeno la presenza di un edificio di culto (probabilmente un tempio italico) sul crinale del Tricolle[30].
Fin dal periodo repubblicano tre strade consolari attraversano l'area: la via Aemilia (attestata unicamente da due miliari, entrambi rinvenuti nel territorio comunale), la via Minucia (poi rettificata e ribattezzata via Traiana in onore del celebre imperatore) e una terza di cui si ignora il nome ma non il tracciato, ben riportato nell'itinerarium Antonini; quest'ultima agli inizi del tardo impero sarà totalmente rimodernata e incorporata nella via Herculia, una grande arteria percorrente l'Appennino in senso longitudinale.
All'incrocio delle tre strade, sul vasto altipiano di Sant'Eleuterio presso i margini settentrionali dell'agro, sorge il vicus di Aequum Tuticum, la cui seconda parte del nome ha peraltro origini pre-latine (in lingua osca tuticum significava infatti "pubblico", "pertinente al touto"[44]). Citato per la prima volta da Cicerone nel 50 a.C., Aequum Tuticum raggiunge poi il suo massimo splendore in età traianea e adrianea; danneggiato però ripetutamente dai terremoti fra il 346 e il 375 d.C. il vicus si riduce infine a una semplice villa, una delle tante che fiancheggiano le vie consolari.[45]
Le ripetute invasioni barbariche dei secoli V-VI determinano la rapida decadenza delle antiche villae e degli altri insediamenti sparsi[45]. Le sanguinose guerre che l'Impero bizantino scatena contro Ostrogoti e Longobardi inducono infatti soldatesche e popolazione civile a rifugiarsi sul Tricolle, luogo più elevato e dunque meglio difendibile[46]; in particolare, con l'affermarsi dei Longobardi nel ducato di Benevento vengono erette, entro i secoli VII-VIII, le prime strutture fortificate del castello a difesa dai domini bizantini[47].
A partire dalla metà del IX secolo il principato di Benevento entra però in crisi, subendo dapprima gli effetti del sisma dell'847 (rovinoso anche per il duomo di Ariano)[48], poi la scissione di Salerno e le susseguenti incursioni saracene (che nell'858 raggiungono l'agro arianese[49]) e infine la sottomissione a Capua preceduta da una fase di occupazione bizantina (che pure deve aver coinvolto il gastaldato di Ariano nell'891-895[50]); perdipiù nel 988 un altro terremoto devasta tanto la contea di Ariano (sorta in sostituzione del gastaldato) quanto la stessa Benevento[51].
Tra il 1016 e il 1022, in un contesto sociopolitico ormai instabile, la contea è quindi usurpata da un gruppo di cavalieri normanni capeggiati da Gilberto Buatère e assoldati da Melo da Bari[52], un nobile di stirpe longobarda da poco nominato duca di Puglia (in funzione anti-bizantina) dall'imperatore Enrico II; nasce così il primo dominio normanno in terra italiana[53].
Nei decenni successivi, grazie alla vittoriosa conquista normanna dell'Italia meridionale, Ariano assume un ruolo di primaria rilevanza: il castello viene potenziato e la città è posta a capo di una vasta grancontea[54]; nemmeno il sisma del 1125 sembra causare grossi danni, se non in qualche località del contado[55]. È in tale fase storica che vive e opera Ottone Frangipane (morto nel 1127), poi santificato e prescelto come protettore[56].
Nel 1140 re Ruggero II in persona, dopo aver estromesso l'ultimo dei granconti, si insedia nella piazzaforte e prontamente convoca le assise di Ariano: dinanzi agli stati generali del ducato di Puglia e Calabria il sovrano delibera il conio di una nuova moneta (il ducale, meglio noto come ducato), promulga una lunga serie di atti legislativi e, secondo una consolidata tradizione storiografica, emana gli statuti (constitutiones) del regno di Sicilia; tale corpus legislativo, una sintesi di diverse insigni tradizioni giuridiche, sarà poi adottato con poche modifiche nelle costituzioni di Melfi[52].
Con l'avvento della dominazione sveva sul trono di Sicilia ha invece inizio una fase decisamente infelice. In particolare nel 1255 Manfredi (figlio di Federico II di Svevia) assedia la città, colpevole di aver appoggiato l'esercito papale contro di lui[57]. Dotata di un grosso arsenale (camera reale)[58], Ariano resiste strenuamente finché un folto gruppo di soldati lucerini, fingendosi disertori dell'esercito di Manfredi, è accolto nella roccaforte; durante la notte essi rivelano però le loro vere intenzioni saccheggiando e bruciando la città oltre a far strage degli abitanti. In memoria del tragico evento vi è ancora una via chiamata in dialetto arianese "la Carnale".[59]
Nel 1269 Carlo I d'Angiò, dopo aver sconfitto Manfredi nella battaglia di Benevento e conquistato il regno, decide di ricostruire la città, ritenuta ormai famosa (ossia rilevante)[60]. Nell'occasione, quale riconoscimento per la fedeltà dimostrata al papato, dona alla diocesi di Ariano due sacre Spine[61] (dategli dal fratello Luigi IX di Francia detto "il Santo"), tuttora custodite nel museo degli argenti.
Sotto gli Angioini il territorio cittadino incorpora gli ex-feudi baronali Amando, San Donato, Sant'Eleuterio (questi due ultimi affidati in gestione al vescovado fino all'eversione del XIX secolo[62]) e forse altri ancora[63]; per lunghi periodi anche Monteleone è casale di Ariano[64]. La contea è retta da esponenti della famiglia provenzale de Sabran dal 1294 al 1413; tra i vari conti di quel periodo spiccano le figure di sant'Elzeario e di sua moglie beata Delfina, poi assurti a compatroni.
Dopo aver patito gravi danni a causa del terremoto del 1349, ai primi del Quattrocento la città risente della dura lotta tra Angioini e Aragonesi per il possesso del regno di Napoli. Nel 1417 la contea passa a Francesco Sforza, condottiero e futuro duca di Milano, mentre nel 1440 è concessa da re Alfonso al gran siniscalco Innico de Guevara, il quale si era distinto come uno dei suoi migliori generali durante la conquista del regno.[65]
Unitamente al resto del reame la città è poi devastata dal terremoto del 1456 e dalla peste del 1458; ciò accade quasi nel mezzo del dominio aragonese che durerà fino al 1485 quando Pietro, figlio di Innico, perde la contea a seguito della sua partecipazione alla congiura dei baroni. La città rientra quindi nel demanio rimanendovi per un decennio.[65]
Nel 1495 la contea è comprata da Alberico Carafa, il quale tre anni più tardi otterrà da re Ferdinando II di Napoli il titolo di duca di Ariano. La congiuntura è però sfavorevole poiché la città, a causa della sua rilevanza strategica, viene a trovarsi presto coinvolta nelle grandi guerre d'Italia tra Francia, Spagna e Sacro Romano Impero. Sia pur intervallate da fragili tregue (funestate peraltro dal sisma del 1517 e dalla peste del 1528[66]), le varie battaglie si protrarranno per molti decenni con danni immensi sia nell'area urbana (ove perfino le campane delle chiese vengono fuse per ricavarne armi) sia nelle campagne (laddove si abbattono olivi e altri alberi per ricavare il legname necessario ad alimentare le fonderie); perdipiù nel 1528 la cittadinanza è punita dagli imperiali per il suo presunto atteggiamento filo-francese e costretta a subire un saccheggio. È proprio a seguito di tali eventi infausti che la città ottiene, quale forma di ristoro, il beneficio perpetuo[67] dell'istituzione di cinque fiere annuali[68].
Fin dal 1532 il ducato di Ariano era intanto passato dai Carafa ai Gonzaga e da costoro (nel 1577) ai Gesualdo[69]. Ma il regime feudale volge ormai al termine: seppur a prezzo di gravi sacrifici, il 2 agosto 1585 Ariano si riscatta, è reintegrata nel demanio e diventa città regia (l'unica in tutto il Principato Ultra[70]) venendo così a dipendere direttamente dai viceré di Napoli[69]. La crescita demografica, assai intensa già al tempo dei Gonzaga, si protrae ancora per molti lustri: nel 1622 Ariano è di gran lunga la più popolosa tra le città del Principato Ultra con i suoi 1.899 fuochi (a quell'epoca Avellino, non ancora capoluogo, contava soltanto 516 fuochi)[71].
Nel 1639 si apre una lunga vertenza giudiziaria poiché la città, benché demaniale, è infeudata al duca Carlo Antonio Guevara di Bovino; il verdetto della corte di Madrid, favorevole alla cittadinanza, giungerà solo ventitré anni più tardi[72]. Nel 1647-48 la popolazione si oppone energicamente ai moti di Masaniello, ma finisce per subire l'assedio[73] e il saccheggio ad opera dei ribelli napoletani per aver bloccato il transito del grano a loro destinato dalla Puglia[74].
Una tragedia ben più devastante si profila però all'orizzonte: è la peste del 1656, che decima la popolazione con la scomparsa di interi villaggi (tra cui il borgo di Corsano, appartenente alla diocesi di Ariano); come se non bastasse, nel volgere di pochi decenni si innesca una grave crisi sismica: al terremoto del Sannio del 1688 fanno seguito il terremoto della Basilicata del 1694, il terremoto di Benevento del 1702 e il disastroso terremoto dell'Irpinia del 1732. Tuttavia la città, situata sul punto di valico dell'appena rimodernata strada regia delle Puglie, riassume presto un ruolo nodale divenendo sede nel 1743/46 del regio consolato di commercio (avente giurisdizione su 64 comuni[75]) e dal 1806 del distretto di Ariano; ha inizio così una nuova fase di lento ma progressivo incremento demografico. Larga parte della popolazione rimane comunque fedele ai Borbone, opponendosi ai moti del Risorgimento ma ricadendo poi nella piaga del brigantaggio.[76]
In epoca post-unitaria la città è sede del circondario di Ariano di Puglia, poi soppresso nel 1926[77]; pochi anni più tardi, nel 1930, il territorio è colpito dal terremoto del Vulture. Nel corso della seconda guerra mondiale i bombardamenti alleati martellano finanche la stazione ferroviaria, ma nel dopoguerra la popolazione raggiunge il suo massimo storico[78]. Danneggiata poi dal sisma del 1962 (fortunatamente preceduto da una scossa premonitrice), la città risente infine del terremoto del 1980 che provoca, tra l'altro, il crollo del campanile della basilica cattedrale nella centrale piazza Plebiscito (benché nessun passante rimanga travolto)[79]. In risposta a tali eventi infausti si registra una progressiva espansione urbana lungo i versanti periferici[80], non accompagnata però da una ricrescita demografica[78].
Lo stemma comunale e il gonfalone sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica del 12 giugno 1984.
«Lo stemma del Comune di Ariano Irpino è d'argento ai tre monti di verde, al naturale, sormontati dalla scritta d'azzurro A I (Ara Iani).[28]» |
Il gonfalone è un drappo partito di verde e di bianco.
Titolo di città | |
«Decreto del Presidente della Repubblica[8]» — 26 ottobre 1952 |
Edificata sui ruderi di un antico tempio pagano, la basilica cattedrale è dedicata all'Assunzione di Maria (titolare), a sant'Ottone Frangipane (protettore) e a sant'Elzeario da Sabrano (compatrono), le cui statue troneggiano sui portali, mentre gli interni sono ricchi di opere d'arte di varia epoca. Riconosciuta fin dal 1940 quale monumento nazionale, nel 1984 ottenne da papa Giovanni Paolo II il titolo di basilica minore.
Di fondazione longobarda, attestata fin dal X secolo[81], fu danneggiata dal terremoto del 1456 e infine ricostruita dopo il sisma del 1732; il portale d'ingresso in pietra è infatti del 1747. All'interno si ammirano una statua lignea di san Michele e un seggio vescovile in stile tardo-catalano del 1563.[82]
Situata alle spalle del municipio e custodita dalle suore dello Spirito Santo, conserva due altari del Seicento[82] nonché il sepolcro di Giuseppina Arcucci, fondatrice della congregazione.
Adiacente al palazzo della Duchessa, a breve distanza dalla centrale piazza Plebiscito, risale al Quattrocento.[82]
Sita nell'antica piazza Ferrara, custodisce un altare della Consolazione del Cinquecento, sovrastato da un arco in pietra grigia di Roseto adornato da fregi e sculture simboliche.[82]
Collocata alle falde meridionali del Castello, consiste in un'austera croce lapidea in stile longobardo infissa su una colonna in marmo cipollino di epoca classica. Sia pur nella sua semplicità costituisce uno dei più antichi monumenti cittadini.[83]
Ubicata nello storico rione Guardia, risale al 1459. Sulla facciata presenta un portale tardo-gotico mentre all'interno vi è un altare quattrocentesco.[82]
Ricostruita dopo il terremoto del 1732, conserva però un antico fonte battesimale a forma di calice.[83]
Fu edificata nel 1688[84]; la festa religiosa si tiene annualmente il 16 luglio. Poco più a valle vi è l'ex convento dei Cappuccini, esistente fin dal 1583[83].
Sita nel rione omonimo alle falde del centro storico, custodisce affreschi del Cinquecento. In adiacenza, all'ombra di un tiglio plurisecolare, vi è l'eremo in cui trascorse gli ultimi anni della sua vita Ottone Frangipane[82], il santo patrono cui è intitolato l'Ospedale civile sorto nei pressi.
Situata lungo il sentiero che conduceva all'eremo di sant'Ottone, fu edificata a seguito di un evento miracoloso attribuito a tale santo.[83]
Fedele imitazione della celebre grotta di Massabielle, venne consacrata nel 1922[85]. Nella vallata sottostante fu poi eretto, nel 1986, il santuario della Madonna di Fatima[86].
Sorge su un terrazzo naturale a valle del Castello. Più volte rimaneggiata, la si trova già citata (con annessi una camera e un horto) in un inventario presentato nel 1517 all'allora vescovo Diomede Carafa.[83]
Edificata nel Cinquecento nell'omonima località periferica, presenta un portale con l'effigie del suddetto vescovo (poi cardinale) Carafa.[83]
Situato presso uno storico mulino (luogo di un'antica apparizione mariana) in una vallata ricca di acque e di alberi secolari, fin dal basso medioevo divenne meta di pellegrinaggi (soprattutto nel giorno di Pentecoste). Al suo interno vi è una statua della Madonna risalente al Quattrocento.
Ubicato su un poggio immerso tra gli oliveti, ha origini assai antiche ma fu ricostruito dopo il sisma del 1962. Dedicato al compatrono san Liberatore (di cui custodisce una statua lignea del 1349), è meta di pellegrinaggi specie in occasione del 15 maggio.
Sorge sulla vetta dell'omonimo colle, nel punto più alto e panoramico del territorio cittadino. Già esistente in epoca longobarda, fu riedificato dai Normanni e quindi ristrutturato dagli Angioini e, successivamente, dagli Aragonesi. Abbandonato definitivamente al termine delle grandi guerre d'Italia del XVI secolo, fu poi parzialmente restaurato all'alba del III millennio. Circondato dall'ampia villa comunale, ospita il museo della civiltà normanna.
Nel settore nord-est dell'agro comunale, lungo l'alta valle del Cervaro, si ergono tre torri di avvistamento di epoca medievale[83]:
Una quarta torretta (la Torre d'Amandi) era posta a controllo della valle dell'Ufita, ma fu rasa al suolo nel 1767 su ordine di re Ferdinando IV di Napoli in quanto divenuta covo di briganti che assalivano la sottostante strada regia delle Puglie, frequentata dallo stesso sovrano quando si recava a caccia nel vallo di Bovino.[87]
Situato presso il Centro pastorale diocesano San Francesco d'Assisi, risale agli inizi del Settecento[83]. Fino al 1958 ospitò il liceo-ginnasio (fondato nel 1866 e intitolato a Pietro Paolo Parzanese)[88]; dal 2018 è sede accademica[89].
Ubicato nello storico rione Tranesi che per secoli ha ospitato le fornaci della maiolica arianese, fu sede dell'Ospedale civile tra il Settecento e il Novecento; dal 2015 costituisce il polo didattico-scientifico del Museo civico della ceramica.[90]
Di antica origine, ma poi ampliato e rimodernato tra il Seicento e il Settecento, fu sede della sottoprefettura di Ariano di Puglia fino al 1926[83]. A partire dal 1991 è adibito a sede museale: il piano rialzato ospita il Museo civico della ceramica mentre il livello inferiore accoglie il Museo archeologico.
Noto come Palazzo della Duchessa, sorse lungo via Rodolfo d'Afflitto probabilmente nel medioevo come casa-torre; ristrutturato nel Cinquecento, fu poi ampliato nel Settecento.[83]
Attiguo al cine-teatro comunale, risale al Settecento. In adiacenza vi è la cappella di Sant'Antonio di Padova, eretta nel 1731.[83]
Sorto nel Seicento lungo via Donato Anzani, tale edificio fortificato ingloba un tratto delle antiche mura cittadine.[83]
Monumentali sono le règie fontane, edificate nel 1608 a beneficio dei viandanti lungo la strada regia delle Puglie e poi restaurate e abbellite nel 1757 per volontà di re Carlo III di Borbone. Nell'ambito del territorio comunale se ne ammirano quattro: il càrpino della Pila (càrpino in dialetto arianese significa "abbeveratoio"), la fontana della Maddalena, il càrpino della Tetta (prossimo alla più antica fontana della Tetta) e la fontana di Camporeale-Pontegonnella.[83]
Ben diverso è invece lo stile architettonico delle antiche fontane rurali, spesso in pietra grezza, meno elevate e solitamente coperte; un esempio tra i tanti è dato dalla cinquecentesca fontana del Brecceto[83], situata lungo la via che conduce al santuario di San Liberatore.
Tali maestose strutture architettoniche rurali furono edificate in epoca rinascimentale utilizzando il pietrame estratto dalle cave locali o recuperato dai ruderi dei preesistenti casali medievali[91]. Le masserie più imponenti sorgono sugli altipiani che si estendono nel settore nord dell'agro comunale:
Agli inizi del III millennio l'intera area, già in parte vincolata dalla soprintendenza archeologica di Salerno e Avellino, è stata posta definitivamente sotto tutela[93].
In quanto collocata lungo la strada regia delle Puglie, la città contava in passato un gran numero di taverne. Le strutture tuttora riconoscibili, ubicate appunto lungo la direttrice per la Puglia, sono la taverna del Turco, la taverna Vitoli e la taverna delle Monache[83].
Realizzata nel 1876 tutt'attorno al castello normanno, tale area verde si estende in altura su circa 40000 m² tra prati, fiori, siepi e alberi d'alto fusto. Sovente innevata d'inverno, si caratterizza per le sue ampie vedute panoramiche.
Trattasi di un bosco d'alto fusto a vegetazione mista (conifere e latifoglie) situato sul versante nord del centro storico. Saltuariamente vi si tengono eventi musicali[94].
Tale tracciato percorre il perimetro delle antiche mura cittadine, parte delle quali sono tuttora visibili[30]. Dimora del poeta Girolamo Angeriano, il viale si dilunga in posizione aperta e soleggiata con esposizione a levante.
Posti su una rupe a strapiombo esposta a ponente, nell'area delle antiche fornaci[83] della ceramica arianese, tali contrafforti offrono una suggestiva veduta panoramica incentrata sulla "Dormiente del Sannio", una dorsale appenninica detta così per il suo caratteristico profilo muliebre.
Detta inizialmente via Sacra Langobardorum poiché già usata dai Longobardi per recarsi al santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano, ripercorre il tracciato dell'antica via Traiana che, a differenza di altre strade romane (quali la via Appia, la via Aemilia e la via Herculia), rimase in esercizio fino alle soglie dell'era moderna. Attestata come via Francigena fin dal 1024, era percorsa da frotte di pellegrini e crociati europei diretti in Terrasanta. La via interseca il settore nord dell'agro comunale nel tratto compreso tra il fiume Miscano (ove emergono pochi resti del ponte romano della Malvizza[95], detto ponte del Diavolo nell'atlante geografico del regno di Napoli) e la linea spartiacque appenninica oltre la quale vi era il castello di Crepacuore, presidio dei cavalieri gerosolimitani.
Ideata nel Cinquecento da re Filippo II d'Asburgo, collegava Napoli (capitale del regno) alle province di Capitanata e Terra di Bari. Il suo tracciato è in gran parte ripreso dalla moderna strada statale 90 delle Puglie, tuttavia la strada règia lambiva direttamente il centro storico, passando dinanzi alle chiese della Madonna del Carmelo e di San Giovanni Battista; quest'ultimo edificio religioso sorge anzi in corrispondenza del passo di Ariano, il punto più elevato in altitudine dell'intera strada (ribattezzata via Nazionale in epoca post-unitaria). Lungo l'antico tracciato si ammirano diverse cappelle, taverne e fontane[83].
Tale antico tracciato erboso, che attraversa le vaste lande a nord-est del centro abitato, è legato alla transumanza di greggi dall'Abruzzo alla Puglia, tanto da essere denominato la “via della lana”[96]. Il tratto che si è meglio conservato, quello che varca l'altipiano di Camporeale, è meta di escursionisti a piedi, in bici e a cavallo.
Una diramazione del tratturo dal pianoro di Camporeale si dirige dapprima alle Tre Fontane di Greci (ove sorge la prima di una serie di taverne) per poi varcare i monti della Daunia e penetrare quindi nel Tavoliere delle Puglie fino a raggiungere Foggia, sede della regia dogana della mena delle pecore.
Il territorio comunale vanta due siti archeologici, entrambi ubicati nella valle del Miscano circa 10 km a nord del centro cittadino. Gran parte dei reperti rinvenuti in tali aree sono esposti nel locale Museo archeologico.[97]
Situata presso una rupe gessosa, consiste nel più antico insediamento preistorico del neolitico inferiore (VI millennio a.C.) in Campania[42]. I reperti rinvenuti attestano un'occupazione plurimillenaria durante tutto il neolitico e l'età del bronzo fino all'abbandono avvenuto a ridosso dell'età del ferro (900 a.C.) e preceduto dalla fortificazione dell'insediamento mediante l'erezione di una cinta muraria.
I resti di tale vicus, risalente al tempo degli antichi Romani, emergono dal vasto pianoro di Sant'Eleuterio. Le tracce rinvenute mostrano un abitato sviluppatosi entro il I secolo a.C. e divenuto poi, in epoca imperiale, un rilevante snodo viario, infine decaduto e abbandonato sul finire dell'età antica.
Abitanti censiti[98]
La cittadina costituisce il principale centro demografico della provincia dopo il capoluogo[99] nonché il più popoloso tra tutti i comuni montani della Campania[100].
I dati dell'Istituto nazionale di statistica rilevavano al 31 dicembre 2020 una popolazione straniera residente di 355 unità[101], pari all'1,7% del totale. Di seguito si elencano le nazionalità maggiormente rappresentate:
Nell'ambito del territorio comunale accanto alla lingua italiana è in uso una particolare varietà del dialetto irpino.
La città è sede della diocesi di Ariano Irpino-Lacedonia nell'ambito della regione ecclesiastica Campania. Il territorio comunale, ricompreso nella forania di Ariano, annovera quindici parrocchie con tre santuari diocesani.[102]
Nella seconda metà del XIII secolo re Carlo I d'Angiò donò alla città due Sacre Spine della corona di Cristo ai superstiti della strage a tradimento compiuta dai Saraceni nel 1255, quale riconoscimento alle vittime del martirio[61]. In ricordo di quegli eventi memorabili si tiene annualmente[103] (nel mese di agosto) la rievocazione storica del dono delle Sacre Spine[104]; tali reliquie sono permanentemente custodite nel museo degli argenti.
Nella seconda metà del Cinquecento la città ottenne il beneficio perpetuo dell'istituzione di cinque fiere annuali[67] quale forma di ristoro per i gravissimi danni patiti nel corso delle grandi guerre d'Italia del XVI secolo. Le fiere dovevano tenersi la domenica delle Palme, la domenica in Albis, il 13 giugno, l'11 agosto e il 27 settembre[105]; tuttavia nel corso del XX secolo le ultime due furono traslate rispettivamente al 16 luglio e al 1º novembre, mentre il mercato settimanale della domenica fu differito al mercoledì. In compenso, alle cinque manifestazioni storiche si aggiunsero le due fiere rionali della seconda domenica di maggio (nel quartiere Cardito) e della prima domenica di agosto (nel rione Martiri)[106].
L'ospedale civile fu fondato nel 1410 e, come tutte le analoghe strutture dell'epoca, accoglieva inizialmente sia gli infermi che i pellegrini. Nel corso del Novecento il nosocomio fu interamente ricostruito poco più a valle, in prossimità dell'eremo in cui visse il santo al quale l'ospedale è dedicato.[107]
Tale struttura, specializzata nell'assistenza geriatrica e realizzata grazie ai lasciti raccolti da Francesco Capezzuto (vescovo di Ariano dal 1838 al 1855) cui è intitolata, sorse nel 1873 e fin dal 1891 occupa la sede attuale, nel centro della città.[108]
Sorta come orfanotrofio grazie ai lasciti del benefattore Vincenzo Mainieri (nato in Ariano nel 1853), l'istituzione si occupa della formazione alle persone diversabili. È ente morale fin dal 1950[109].
Fondata nel 1982 in un'area verde alle porte della città, tale struttura sanitaria è specializzata nel settore riabilitativo.[110]
Si tratta di un'associazione internazionale privata di fedeli[111] la cui casa madre è sita presso il santuario della Madonna di Valleluogo. All'interno della struttura vi è un centro di rieducazione psicomotoria.[110]
Tale congregazione, fondata nel 1896 dalla giovane Giuseppina Arcucci, svolge la sua opera nel campo socio-assistenziale e, a partire dal 1986, anche all'estero in ambito missionario[112]. La casa madre è situata nel cuore del centro storico, a tergo del municipio.
Fin dal 1991 la città è sede del Centro europeo di studi normanni, sorto per iniziativa di un gruppo di studiosi italiani, francesi e inglesi e finalizzato alla ricerca sulla civiltà normanna nell'Europa medievale.[113]
Inoltre nel 2006, alla presenza del premio Nobel Rita Levi-Montalcini, fu inaugurato il centro di ricerche BioGeM (Biologia e Genetica Molecolare), attivo nella ricerca scientifica in campo biogenetico e farmacologico.[114]
La città è sede d'esami dell'università telematica Pegaso[115], mentre il locale plesso ospedaliero ospita un polo didattico dell'università Luigi Vanvitelli[116]. Infine il campus interuniversitario Biogem promuove l'alta formazione scientifica e magistrale negli ambiti biomedico, biochimico e biogiuridico[117].
Sede di distretto scolastico, il territorio comunale ospita 24 plessi didattici[118], 5 dei quali riservati agli istituti superiori. Questi ultimi fanno capo a tre grandi poli scolastici: il liceo classico-scientifico "Pietro Paolo Parzanese"[119], l'istituto d'istruzione secondaria superiore "Ruggero II"[120] e l'istituto d'istruzione superiore "Giuseppe De Gruttola"[121].
Sita nel centro della città, possiede 60 000 volumi e opuscoli tra cui diverse migliaia di fondi antichi; i documenti multimediali ammontano a 20 000[122]. Per la costituzione della biblioteca fu determinante l'impegno del deputato Pasquale Stanislao Mancini, cui la collezione è intitolata.
Ubicata all'interno del palazzo episcopale, conta 37 340 testi[123] oltre all'archivio storico della curia vescovile e alla raccolta completa delle opere del sacerdote-poeta Pietro Paolo Parzanese.
Allestita nella sede del Centro europeo di studi normanni, annovera molte migliaia di testi storici medievali con antichi manoscritti, pergamene e un archivio digitale.[124]
Ubicato nella villa comunale all'interno del castello normanno, custodisce numerosi reperti storici di epoca alto-medievale.
Situato lungo via Rodolfo d'Afflitto, espone stampe di epoca rinascimentale, la fototeca civica e una vasta collezione di maiolica arianese antica.
Ospitato in uno storico palazzo alla via Donato Anzani, vi si trovano reperti di epoca neolitica, sannitica e romana provenienti dai siti archeologici della valle del Miscano.
Ha sede nell'ex tesoreria della Basilica cattedrale. Custodisce preziose opere sacre, fra cui un reliquiario contenente due Sacre Spine della corona di Cristo.
Ubicato nell'ex chiesa di Santa Lucia, espone pitture di scuola napoletana risalenti al Seicento e al Settecento oltre a svariate opere tessili, lignee e marmoree.
Custodito dalle Suore dello Spirito Santo, è dedicato alla fondatrice della congregazione ma conserva opere e documenti di epoca anteriore.
Sorto all'interno del centro di ricerca Biogem con il supporto dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, questo particolare museo illustra l'origine e l'evoluzione della Terra e della vita.
Canale 58 è l'emittente televisiva cittadina; fondata nel 1994; dal 2013 si è dotata di un proprio sito web. Trasmette sul canale 85 del digitale terrestre.[125]
Radio Ariano Centro è la locale stazione radiofonica; modula in Fm 107,700 nonché in streaming.[126]
La città si caratterizza fin dall'antichità per un peculiare prodotto artistico, la maiolica o ceramica smaltata e decorata secondo canoni e stili differenti a seconda delle varie epoche.
L'arte culinaria locale rispecchia fedelmente le tradizioni contadine e pastorali, tanto che molte delle pietanze conservano le caratteristiche denominazioni vernacolari[127].
Oltre al rinomato pane casereccio cotto in forno a legna sotto vari formati, anche alcuni tagli di pasta e certe forme di latticini e insaccati sono peculiari di questa terra ad alta vocazione agro-zootecnica[128], mentre fra le carni prevalgono piuttosto quelle bianche degli animali da cortile, spesso farcite e aromatizzate con erbe selvatiche locali[129]. Nonostante la relativa lontananza dai due mari Tirreno e Adriatico (distanti comunque meno di 100 km), non manca qualche portata a base di pesce come ad esempio la tipica pizza con le alici.[127]
Gli ortaggi costituiscono poi una quota rilevante degli ingredienti in uso, tanto che già nell'Ottocento veniva ad esempio rimarcata[130] la produzione in "quantità immensa di peperoni, detti pipilli" (denominazione quest'ultima tuttora in auge nel dialetto arianese). Larghissimo è anche l'utilizzo di legumi e verdure (ivi compreso il cardone di Natale), la cui cottura richiede comunque un particolare tipo di pentola chiusa in terracotta, la pignata.[127][129]
Assai caratteristica è la frutta, tanto che alcune cultivar, soprattutto di ciliegie, sono autoctone[131]. Tradizionale nelle stagioni intermedie è inoltre la ricerca di tipici prodotti del sottobosco: così in primavera si raccolgono i cosiddetti spàlici (l'essenza Asparagus acutifolius, una varietà di asparago più piccola ma più aromatica di quella coltivata), in autunno invece i cardariélli (la prelibata specie fungina Pleurotus eryngii).[127]
Alcuni piatti decisamente più elaborati sono invece esclusivi di certe ricorrenze: strùffoli a Carnevale, casatiélli e pizzpanàro a Pasqua, pipilli chjini e zéppule alla vigilia di Natale, malàti alla vendemmia, pizza cu li ccécule alla mattanza del maiale.[127][129]
Per tutte le pietanze il condimento immancabile è l'olio extravergine d'oliva DOP Irpinia - Colline dell'Ufita ricavato da piante della tipica cultivar Ravece[132], mentre il marchio PAT spetta al caciocchiato, un formaggio da dessert di produzione esclusivamente locale[133]; notevole anche la tradizione vitivinicola, grazie alla presenza di numerosi vitigni autoctoni[134].
Ariano International Film Festival è un concorso cinematografico[135]; si tiene annualmente tra i mesi di luglio e agosto.
Ariano Folk Festival costituisce invece una rassegna di musica etno-folk[136]. Si articola in due sessioni: la prima ad agosto, l'altra al coperto tra dicembre e gennaio.
Le due culture è un meeting organizzato nel mese di settembre dal centro di ricerche Biogem al fine di elaborare un punto d'incontro tra il sapere umanistico e quello scientifico; vi prendono parte ogni anno insigni studiosi e premi Nobel[137].
ClassicAriano è una rassegna di musica classica curata dalla Società italiana della musica da camera[138]; si compone di una serie cadenzata di concerti durante l'intero corso dell'anno.
Il centro storico, arroccato sul crinale del Tricolle e di impianto alto-medievale, ebbe fin dall'origine una forma piuttosto allungata. Esso si disponeva infatti lungo un antico cammino (verosimilmente una mulattiera militare) che dalla Puglia, all'epoca duramente contesa ai Bizantini, conduceva a Benevento, sede dell'omonimo ducato longobardo[139]; tale percorso è ben riconoscibile nei rioni Guardia-Piazza Ferrara-Annunziata-Strada. Altri micro-quartieri sorsero poi lungo antiche diramazioni: è il caso di Sambuco (vie Santo Stefano-Anzani, lungo un viottolo per Villanova-Zungoli) e di San Nicola (vie Parzanese-Intonti, lungo un sentiero per Montecalvo). Nella Tabula rogeriana del 1154 la città, denominata in lingua araba ʼAryānah (erroneamente trascritto ʼArnānah), era posta lungo un tracciato che collegava Troia ad Apice, con successivo proseguimento verso Benevento, Avellino e Salerno.[140]
Fin dal IX secolo la cerchia urbana era munita di porte[141] e cinta da mura[142], alcuni tratti delle quali sormontano l'odierno viale Russo-Anzani[30]; invece il castello, eretto nel punto più elevato, era staccato dal resto dell'abitato attorno al quale vi erano piuttosto alcune distese di pascoli pubblici[143]. Le numerose grotte esistenti fuori e dentro le mura hanno origine antica ma artificiale; esse servivano originariamente come rifugi o come vie di fuga e soltanto in un secondo momento furono adibite a botteghe o a cantine. Anche i molti burroni che circondano il centro storico non esistevano in origine, ma si formarono a seguito di profondi fenomeni erosivi (e conseguenti frane) provocati dell'erronea regimentazione delle acque piovane lungo i ripidissimi pendii, con la conseguente rovina di diversi rioni[144].
La conformazione urbana mutò notevolmente tra il Seicento e il Settecento, quando fu ultimata la via regia delle Puglie (attuali corso Vittorio Emanuele - via Nazionale), ossia la prima grande strada che, per ragioni di spazio, si limitava a rasentare il centro antico. Fu in tale periodo che bottegai e tavernai abbandonarono le loro vecchie dimore (devastate peraltro dalla serie di eventi sismici susseguitisi tra il 1688 e il 1732) e si stabilirono in massa lungo la nuova via, fondando così i rioni San Rocco, San Domenico, Valle e Pagliare[145].
Un secondo rivoluzionamento urbanistico si ebbe poi nel Novecento, innescato non soltanto dai danni bellici della seconda guerra mondiale ma anche da una nuova serie di terremoti verificatisi tra il 1930 e il 1980. Si determinò allora, oltre all'ampliamento del centro antico a scapito dei primitivi pascoli pubblici (rioni Calvario, San Leonardo, Pàsteni-Fontananuova, Pallottini-Piano della Croce), anche la costruzione di nuovi quartieri periferici (Cardito, San Pietro, Sant'Antonio, Martiri) realizzati a mezza costa presso il moderno tracciato in variante della strada statale 90 delle Puglie. L'intero centro abitato, intervallato da pendii e aree verdi, ha assunto così una conformazione conico-elicoidale di cui però il centro storico continua a rappresentare il vertice. Infatti il piano urbanistico comunale e il relativo regolamento edilizio, in vigore dal 2010, stabiliscono norme volte a salvaguardare la città antica mentre gran parte dell'agro è tutelato quale paesaggio rurale[146][147].
Lo statuto comunale non cita alcuna frazione[148]. Assai numerose sull'intero agro sono invece le località abitate sparse, generalmente dette contrade[149].
Sorte probabilmente nel basso medioevo (lo si deduce dal gran numero di chiese rurali attestate fin dal Trecento)[150], le contrade ebbero per lunghi secoli vita difficile a causa della diffusa insalubrità e insicurezza. A partire dal rinascimento furono comunque edificate diverse nuove masserie[151], ma il grosso sviluppo dell'edilizia rurale si è registrato soltanto in epoca contemporanea, dopo che la malaria e il brigantaggio erano stati finalmente debellati; fino all'Ottocento la stragrande maggioranza della popolazione risiedeva infatti nel centro storico[152].
Le contrade conservano solitamente le denominazioni tradizionali in dialetto arianese, con frequenti riferimenti toponomastici non soltanto all'ambiente naturale ma anche al feudalesimo e alla religione[153]. Dall'analisi delle mappe topografiche si evince che, ad eccezione della borgata sorta nell'Ottocento presso la stazione ferroviaria, le aree vallive sono generalmente evitate dagli insediamenti abitativi. In effetti molte contrade si sviluppano su aree collinari, in prossimità di fonti sorgive, ad altitudini comprese tra 200 e 800 m s.l.m.[149]
Il settore agro-zootecnico ha assunto fin dall'antichità notevole rilevanza, come attestato dall'ampiezza dell'agro comunale (il più esteso della Campania[12]) e dalla predominanza degli insediamenti rurali sparsi[154]. La città, facente parte della regione agraria nº 1 "Alto Cervaro"[155] e dell'Associazione nazionale città dell'olio[156], conta infatti il più alto numero di aziende agricole e la più ampia superficie agraria utilizzata di tutta la provincia[157].
Tra i prodotti tipici più rinomati si annoverano le olive della cultivar autoctona Ravece (destinate all`estrazione di olio DOP extravergine "Irpinia - Colline dell'Ufita")[132], diversi vitigni storici[134], i cereali (per la produzione di pane e sfarinati), la frutta, i legumi, le carni e i latticini; tra questi ultimi spicca il caciocchiato, un prodotto esclusivamente locale fregiantesi del marchio PAT.
La ceramica arianese costituisce la produzione artigianale più caratteristica della città, attestata fin dal Medioevo. Le fornaci erano ubicate dapprima presso il castello normanno, poi nelle grotte del quartiere extramurale Tranesi, detto così poiché nel Quattrocento era stato popolato da rifugiati provenienti da Trani[158].
Vaste collezioni di antiche ceramiche decorate (ossia maioliche) sono custodite nel Museo civico della ceramica, ma la tradizione artigiana perdura in epoca contemporanea, potendosi fregiare del marchio CAT (Ceramica Artistica Tradizionale) rilasciato dal Consiglio nazionale ceramico[159]. Il comune, riconosciuto quale centro di affermata tradizione ceramica dal Ministero dello sviluppo economico[159], è parte integrante dell'Associazione italiana città della ceramica[155].
Il settore industriale, erede della vecchia tradizione molitoria, gessaiola, bottegaia e lanaiola, si basa su un buon numero di imprese di piccole o medie dimensioni attive principalmente nei comparti agro-alimentare, edilizio, metalmeccanico e dell'abbigliamento[160]. Molte delle aziende, tra le quali spicca il consorzio biotecnologico BioGeM, sorgono in un'idonea area attrezzata di 100 ettari[161] sull'altipiano di Camporeale, in posizione baricentrica tra Campania e Puglia.
In forte crescita è inoltre la produzione di energie rinnovabili mediante l'implementazione di parchi eolici, secondo l'ottica innovativa dello sviluppo sostenibile.[162]
La città vanta un'antica tradizione sia nel campo della ristorazione che per quanto attiene alle strutture ricettive. Infatti, trovandosi all'altezza della sella di Ariano (il valico più importante tra Campania e Puglia), ha sempre contato su un intenso traffico di viaggiatori e viandanti, ai cui bisogni provvedeva una numerosa classe locale di mercanti e tavernai. A seguito però dell'apertura al transito della ferrovia nella seconda metà dell'Ottocento (e dell'autostrada un secolo più tardi) si verificò inevitabilmente un sensibile calo dei transiti interregionali lungo la vecchia strada nazionale delle Puglie.[163]
Tuttavia le favorevoli caratteristiche climatico-ambientali iniziarono ad attrarre molti visitatori sul Tricolle fin dall'epoca fascista, quando venne ivi creata una colonia montana[85], mentre nella seconda metà del Novecento la cittadina era ormai divenuta una frequentata meta di villeggiatura[164]. Inoltre, a decorrere dal grande giubileo del 2000, si è assistito a un significativo sviluppo del turismo religioso e storico-culturale, tanto che il comune costituisce parte integrante del distretto turistico Viaticus[165] e dell'Associazione europea delle Vie Francigene[22].
Rinomato è infine il comparto enogastronomico che annovera una dozzina di aziende agrituristiche[166] e oltre una ventina di ristoranti[167].
L'asse portante della viabilità cittadina è costituito dalla strada statale 90 delle Puglie che, unitamente alle sue varianti 90bis e 90dir, attraversa l'intero territorio comunale consentendo i collegamenti con Avellino/Benevento da un lato e con Foggia (nella vicina Puglia) dall'altro.[168]
Piuttosto numerose sono le strade provinciali, le quali si dispongono a formare una rete a maglie larghe che permette di raggiungere i centri abitati limitrofi. Assai fitto e articolato è infine il reticolo formato dalle strade comunali.[168]
La stazione di Ariano Irpino, posta lungo la tratta Benevento-Foggia della linea Roma-Bari[169], sorge in una piccola valle a circa 5 km dal centro urbano. Sul culmine della linea vi è inoltre lo scalo tecnico di Pianerottolo d'Ariano.
In virtù del moderno progetto Alta Capacità una nuova infrastruttura ferroviaria è in fase di costruzione nell'ampia valle dell'Ufita, in posizione baricentrica rispetto all'intero comprensorio[170].
La gestione dei parcheggi multipiano e di prossimità, nonché il servizio pubblico di trasporto urbano (esteso anche alle zone rurali) sono interamente curati da un'azienda municipalizzata: l'AMU.[171]
La società partecipata regionale AIR garantisce invece le relazioni interurbane su gomma nel territorio della Campania, con estensione all'area di Foggia.[172]
I collegamenti a spola con i centri viciniori della Puglia sono infine assicurati da autolinee del consorzio COTRAP.[173]
L'universitas (municipalità) di Ariano è attestata fin dal XIII secolo[174]. Eletta anticamente su base parrocchiale e presieduta da un sindaco coadiuvato da una giunta, l'universitas era inizialmente soggetta al regime feudale della contea di Ariano, ma a partire dal 1585 venne a dipendere direttamente dalla corona di Napoli; il ruolo di ufficiale del governo non spettava comunque al sindaco bensì a un governatore, nominato dapprima dal conte (o duca) di Ariano e poi dal viceré di Napoli o dal sovrano in persona[175]. In età napoleonica (e poi ancora in epoca fascista) le funzioni di sindaco furono temporaneamente svolte da un podestà di nomina governativa, mentre la figura del governatore fu definitivamente abolita. L'attuale Palazzo di Città risale al secondo dopoguerra; in base allo statuto vigente, la sede municipale deve essere comunque ubicata nel centro storico[176].
Il comune, ricompreso nella zona di allerta "Alta Irpinia-Sannio"[177], è dotato di un proprio presidio di protezione civile[178] coordinato dal sindaco[118]. Centro pilota dell'ambito territoriale A1 (esteso su 29 comuni per un bacino di utenza di 87 993 residenti[179]), la città è inoltre sede comprensoriale di distretto sanitario, distretto scolastico, agenzia delle entrate, agenzia INPS, casa circondariale, centro per l'impiego, comunità montana, genio civile e giudice di pace. Pur appartenendo alla provincia di Avellino, soggiace (unitamente ai comuni del circondario) alla giurisdizione del tribunale di Benevento.[180]
Le associazioni sportive operanti sul territorio cittadino sono in tutto 36, impegnate in 21 diverse discipline e affiliate ai rispettivi enti di promozione sportiva[181].
Lo stadio "Silvio Renzulli", costruito nella prima metà del Novecento, è situato lungo un pendio alle falde della Villa comunale; oltre al campo di calcio in erba sintetica con spalti per 1200 posti[182], vi è un campo da tennis (coperto nella stagione fredda) ubicato più a monte, all'interno del perimetro della Villa[183].
Il palazzetto dello sport[184], omologato per uso professionistico con 2000 posti, ha ospitato nel 2019 alcuni eventi della XXX Universiade estiva[185]; l'arena-stadio in erba naturale, omologata per uso agonistico e intitolata a Pietro Mennea, dispone a sua volta di spalti per 2000 posti[186].
Il ventaglio degli impianti sportivi cittadini è completato dal campo polivalente coperto "La Maddalena"[187] e dall'ampio complesso "La Tartaruga"[188].
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