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Ruvo del Monte (Rùve in dialetto lucano[4]) è un comune italiano di 962 abitanti[1] della provincia di Potenza in Basilicata.

Ruvo del Monte
comune
Ruvo del Monte – Veduta
Ruvo del Monte – Veduta
Localizzazione
Stato Italia
Regione Basilicata
Provincia Potenza
Amministrazione
SindacoMichele Metallo (lista civica "Orgoglio ruvese") dal 10-6-2018
Territorio
Coordinate40°50′50″N 15°32′24″E
Altitudine638 m s.l.m.
Superficie32,62 km²
Abitanti962[1] (31-8-2022)
Densità29,49 ab./km²
FrazioniCerrutolo, Montagna Molara
Comuni confinantiAtella, Calitri (AV), Rapone, San Fele
Altre informazioni
Cod. postale85020
Prefisso0976
Fuso orarioUTC+1
Codice ISTAT076072
Cod. catastaleH646
TargaPZ
Cl. sismicazona 1 (sismicità alta)[2]
Cl. climaticazona E, 2 148 GG[3]
Nome abitantiruvesi
Patronosan Rocco e san Donato Martire
Giorno festivo18 agosto
Cartografia
Ruvo del Monte
Ruvo del Monte – Mappa
Ruvo del Monte – Mappa
Posizione del comune di Ruvo del Monte all'interno della provincia di Potenza
Sito istituzionale

Geografia fisica


Il centro abitato è situato a 630 m s.l.m., nel settore nord-occidentale della Basilicata, ai confini con l'Irpinia. Il territorio comunale è ubicato nell'area del Vulture-Melfese, dominata dal profilo del massiccio del monte Vulture (1326 m s.l.m.).


Origini del nome


L'origine del nome è stata discussa da due studiosi del posto: l'arciprete Giuseppe Ciampa per il quale:

«L'antico nome del paese era Terra Ruborum o Rufrorum o Rubrorum che può significare tanto terra dei rovi quanto terra dei rossi. [...]

Nei secoli posteriori si trasformò in Rubis Montaneae, così infatti, la chiama una vecchia cartapecora conservata nell'Archivio Parrocchiale. [...]

Verso la metà del Seicento e per circa due secoli è chiamata Ruvo della Montagna; più recentemente ha preso il nome di Ruvo del Monte, anche perché possa distinguersi da Ruvo di Puglia.»

(Giuseppe Ciampa, Ruvo del Monte - Notizie storiche, pag. 15)

e Michele Di Napoli che così scrive:

«Il primo insediamento arcaico di origine adriatica ed orientale entrò in crisi dalla fine del quinto e principi del IV secolo a.C., quando gente nuova di stirpe osco-sabellica proveniente dall'Occidente tirrenico e dalla più vicina Campania interna riuscì alfine a prendere il sopravvento sulle precedenti popolazioni dauno-enotrie e ad impadronirsi del sito, noto soprattutto per le sue sorgenti e per i suoi grandi pascoli estivi, che gli valsero fin dal principio i nomi italici di Rufre e di Rufia, dagli originali balcanici reo e ruo, rufeo e ru-freo (luogo di ristoro), tutti di origine pregreca.[...]

Comunque, almeno fino alla prima metà del Trecento, il nome medievale di Ruvo, sulla base di quello più antico di sicura origine protostorica e pregreca, oscillò sempre tra Castello Rubo, Casalis Sancti Thome de Rubo, Rubum e Castrum Rubri, con denominazioni che furono usate indifferentemente a seconda degli storici o dei cronisti del tempo e delle loro personali conoscenze sul luogo in interesse. Questo, ovviamente, volendo mettere da parte il Ruto o Ruico dei Bizantini, come si legge ancora in alcune carte antiche del periodo angioino. Ma il nome Rubo, che rimase sempre alla base di qualsiasi denominazione, ci documenta in maniera inequivocabile sull'antichità e sulla sicura continuità storica del sito.»

(Michele Di Napoli, Studi Storici su Ruvo Del Monte, pagg. 52-53 e 70-71)

Storia


Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Basilicata.

Dalla Preistoria al Periodo romano


Dalla metà degli anni settanta, scavi archeologici hanno portato alla luce più di un centinaio di tombe con i relativi corredi funerari, risalenti al VII-V secolo a.C. Si pensa quindi che l'origine di un primitivo nucleo urbano possa risalire a quel periodo.

I ricchi corredi sono ora custoditi parte nel Museo Archeologico Nazionale del Melfese (presso il Castello federiciano di Melfi), parte nel Museo Civico Archeologico (aperto nel 2000, presso la sede comunale di Ruvo del Monte) che raccoglie i pezzi della collezione "Gugliotta"[5].

Le campagne di scavo regolare durarono, con soluzione di continuità, dal 1978 sino al 1989 e furono condotte dal professor Angelo Bottini, poi divenuto sovrintendente di Roma. Un resoconto dettagliato di quanto rinvenuto a Ruvo del Monte, con foto, descrizioni, disegni e planimetrie, è contenuto negli "Atti dell'Accademia Nazionale Dei Lincei - Notizie Degli Scavi Di Antichità" Serie Ottava - Volume XXXV - 1981 Pagg.183-288.

Prova della successiva presenza romana e cristiana nella zona è data dal ritrovamento di un cippo funerario che reca un'epigrafe latina: "Tito Flavio / secundo / v.a. XXXX / Romania / chypare / coniugi / B.M." (Come il cipero, così Romania [pose] al coniuge Tito Flavio, vissuto, ben meritando, quarant'anni)

Secondo il Cluverio il paese è citato nelle opere di due scrittori latini: in Virgilio come Rufras e Silio Italico come Rufrae; infatti, nel settimo canto dell'Eneide (v. 739) tra i condottieri che portano aiuto a Turno, vi è un certo Ebalo che, insoddisfatto del piccolo regno concessogli dal padre, aveva conquistato altri popoli e territori: i Serrasti, la pianura del Sarno, Rufra, Batulo, Celenne e Abella:

(LA)

«Patriis sed non et filius aruis
contentus late iam tum dicione premebat
Sarrastis populos et quae rigat aequora Sarnus,
quique Rufras Batulumque tenent atque arua Celemnae,
et quos maliferae despectant moenia Abellae.»

(IT)

«Ebalo, non contento dei domini paterni,
era passato in Italia, e aveva conquistato
un vasto territorio: il popolo dei Sarrastri,
la pianura irrigata del Sarno, Rufra, Batulo,
i campi di Celenne, le alte mura di Abella,
ricca di mele.»

(Virgilio, Eneide, VII, 736-740; trad.: Cesare Vivaldi)

Silio Italico (Punica, VIII, 572) cita il paese ("[...] et quos aut Rufrae [...]") quando elenca i popoli che si schierarono con Annibale durante la seconda guerra punica.

Oltre a questi due autori, anche Tito Livio riporta:

(LA)

«Tria oppida in potestatem venerunt, Allifae, Callifae, Rufrium, aliusque ager primo adventu consulum longe lateque est pervastatus.»

(IT)

«Tre città caddero sotto il dominio romano: Allife, Callife e Ruvo e il rimanente territorio fu saccheggiato in lungo e in largo, al primo arrivo dei consoli.»

(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, VIII, 25.)

Secondo il Racioppi, anche qui, Rufrium corrisponderebbe all'attuale Ruvo.

Panorama del paese visto dal Castello.
Panorama del paese visto dal Castello.

Il Medioevo


La prima fonte che attesta l'esistenza del paese risale, però, al 1045 nel Codex Diplomaticus Cavensis (un insieme di testi degli anni tra l'VIII e l'XI secolo conservati nella Badia di Cava de' Tirreni). In un atto del codice, il paese è assunto come linea di confine nella divisione, operata da un cittadino di Melfi, di un certo territorio.

A causa della sua posizione, il paese permetteva il passaggio tra l'interno della Basilicata e la Campania, per cui Ruvo non scomparve mai del tutto.

Fu anche centro episcopale: lo pensa il Cluverio e a conferma di ciò vi è il fatto che su alcuni affreschi, custoditi nei Musei Vaticani, il paese compare con una croce al lato del nome (la croce distinguerebbe i paesi con sede episcopale dagli altri).

Fin dal 1161 Ruvo era sotto la giurisdizione del contado di Conza, retto prima dalle famiglie dei Balvano, dei Del Balzo e poi dai Gesualdo, fino alla seconda metà del Seicento.

A testimonianza del glorioso passato feudale permangono la torre angioina ed i resti delle mura del castello (nella tradizione orale il quartiere “Murati”, che congiunge la parte bassa del paese con quella alta -Cap Ruv-). Nel corso della storia il feudo di Ruvo subì varie invasioni e devastazioni: memorabile e storicamente datate quelle da parte di Luigi d'Ungheria nel 1348 durante la guerra di successione al trono di Napoli e, inoltre, del condottiero Antonio Caldora, capitano di ventura al soldo di Renato d'Angiò, che bruciò il paese nel 1435 per avere sostenuto la causa aragonese.

Dopo esser passato più volte a diversi signori, il paese smise di essere feudo nel 1806 quando Giuseppe Bonaparte abolì il feudalesimo.


Dall'Unità d'Italia ai giorni nostri


Lo stesso argomento in dettaglio: Massacro di Ruvo del Monte.

Il 10 agosto 1861, il paese fu invaso e saccheggiato da bande di briganti guidate da Crocco e Ninco Nanco. Nel Volume degli atti e processi di valore storico del 1783-1879 conservati nell'Archivio di Stato di Potenza si può leggere:

«Una banda di circa 80 masnadieri, capitanati da Carmine Crocco, nelle prime ore del 10 agosto 1861, invadeva il Comune di Ruvo del Monte suscitando la guerra civile e provocando la popolazione ad insorgere contro i poteri dello Stato al grido di «Viva Francesco II e abbasso Vittorio Emanuele», assalirono il corpo di Guardia nazionale, infransero gli stemmi dell'augusta Casa Regnante e tutto posero a ruba. Atterrarono le porte della casa comunale e vi appiccarono il fuoco sicché videro preda delle fiamme tutte le carte. Indi si diedero a saccheggiare e a far man bassa sui cittadini che si tenevano devoti alle libere istituzioni [...]. Consumati questi eccessi quell'orda facinorosa abbandonò il detestato paese accresciuta di molti che vollero seguirla, cioè circa 32 naturali di Ruvo.»

Con l'aiuto della popolazione, i briganti trucidarono 13 cittadini di Ruvo, tra liberali e ricchi possidenti, e diedero fuoco alle proprietà dei borghesi locali. Ma altrettanto cruenta fu la repressione operata dalle truppe dell'esercito regolare, una volta entrate in paese, per cercare di ristabilire l'ordine. Lo storico Tommaso Pedio narrò che un contingente di 1500 soldati comandati dal maggiore Guardi ordinò una feroce rappresaglia: il borgo fu rastrellato, alcuni civili vennero fucilati e le abitazioni date alle fiamme. Inoltre Guardi minacciò con la violenza alcuni notabili di provvedere al sostentamento delle truppe, il rifiuto veniva punito con l'arresto per manutengolismo e attentato allo Stato.[6]

Come la maggior parte dei paesi del meridione anche Ruvo subì il fenomeno dell'emigrazione verso le Americhe o gli Stati europei e successivamente verso il Nord Italia: oggi Ruvo del Monte è il secondo Comune della Basilicata per tasso di emigrazione.

Tra i Ruvesi emigrati all'estero o in Italia molti si distinsero in vari campi del lavoro, della scienza, dell'arte e della cultura, alcuni addirittura personaggi molto famosi. Ricordiamo qui il pittore ed artista Piero Tozzi, emigrato a New York, che ebbe il merito dell'attribuzione del "San Giovanni Perduto" al suo illustre autore, e cioè Michelangelo Buonarroti, o Salvatore Lombino, meglio noto con gli pseudonimi di Ed McBain o Evan Hunter, con cui ha firmato decine di capolavori della letteratura poliziesca (tra cui la celebre collana 87º Distretto, dalla quale è stata ricavata la popolare serie televisiva) e la sceneggiatura del film di Alfred Hitchcock Gli uccelli.

L'emigrazione a Ruvo del Monte ha anche assunto il colore della tragedia: ci riferiamo al naufragio dell'Andrea Doria, avvenuto nella notte tra il 25 e 26 luglio 1956 presso l'isola-faro di Nantucket, a poche ore dall'arrivo a New York. Dei 46 periti nella tragedia ben 5 erano di Ruvo del Monte: l'intera famiglia Russo (Michele Russo, la moglie Maria Ciampa e le figlie Giovanna e Vincenza, di 12 ed 8 anni rispettivamente), che emigrava definitivamente in America, e Michelina Gabbamonte in Suozzi, che andava a visitare i parenti emigrati.

Ruvo del Monte è stato segnato in maniera rilevante dal disastroso terremoto del 23 novembre 1980, che ha reso inabitabile il 93% del patrimonio abitativo privato, pubblico e di culto: è, infatti, tra i 9 Comuni dichiarati disastrati in seguito all'evento. Ad oggi la ricostruzione è a buon punto, anche se restano ancora alcuni segni del terribile sisma soprattutto nel patrimonio monumentale e storico.

Oggigiorno le poche prospettive di lavoro stabile sono costituite dagli stabilimenti di Vitalba e di san Nicola di Melfi, che quantomeno hanno frenato il fenomeno emigratorio consentendo a tanti giovani di rimanere, di costituire nuovi nuclei familiari e di contribuire alla ripresa del numero di residenti, consentendo anche il sorgere di attività commerciali e di servizi di supporto. Di particolare rilievo la produzione di vino locale secondo i metodi tradizionali: la Verdeca e lo "Stringitùr".


Simboli


Gonfalone di Ruvo del Monte.
Gonfalone di Ruvo del Monte.

Blasonatura stemma

«D'azzuro ai tre monti al naturale sormontati dalla lettera R dorata con soprastante un braccio recante un giglio.»


Blasonatura gonfalone

«Drappo di colore azzurro, riccamente ornato di ricami d'oro, con simboli floreali sui laterali, a partire dalla metà verso il basso dove si incrociano nella frangia centrale. Al centro due rami intrecciati, uno di alloro e l'altro di quercia che racchiudono, a semicerchio lo stemma, con in alto l'iscrizione centrata in oro della denominazione del Comune.»


Onorificenze


Medaglia d'oro al merito civile
«In occasione di un disastroso terremoto, con grande dignità, spirito di sacrificio ed impegno civile, affrontava la difficile opera di ricostruzione del proprio tessuto abitativo, nonché della rinascita del proprio futuro sociale, economico e produttivo. Mirabile esempio di valore civico ed altissimo senso di abnegazione. Sisma 23 novembre 1980.[7]»
 9 novembre 2005.

Monumenti e luoghi d'interesse



Architetture religiose



Chiesa Madre o chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta

La sua origine risale intorno all'anno 1000, anche se cominciò ad essere utilizzata come chiesa madre solo intorno al XIV secolo. Il primo documento che riguarda questa chiesa è del 1519, quando l'allora vescovo di Muro Lucano concesse ad una famiglia locale lo jus patronatus[8] di un altare.

Fu distrutta sicuramente dal terremoto del 1694 e fu successivamente ricostruita gli anni successivi. Prova ne è un'iscrizione posta sull'ingresso principale della chiesa e che così recita:

(LA)

«Ecclesiæ veteri
motu iam terræ 1694 subversæ
tum 1698 reparatæ at creto
civium num
prorsus arctiori
ordo populsque Ruborum
collatis neperrime viribus
elegantiorem amplitudinem
ternis concinnatam fornicibus
adstruere curavit
A.D.MDCCCXX»

(IT)

«Il popolo e le autorità di Ruvo, riunite di nuovo le forze, resero più elegante e ampia l'antica chiesa, divenuta troppo piccola, già distrutta dal terremoto del 1694, poi ricostruita, per volontà dei cittadini, nel 1698. Anno 1820»

Nonostante fosse stata riedificata dopo il 1698, ancora nel 1729, monsignor Manfredi, dopo la sua visita pastorale, ordinava che si riparasse il tetto, si imbiancassero i muri e si facessero delle chiusure in pietra alle sepolture interne (era, infatti, abitudine seppellire i morti in botole ricavate sotto il pavimento).

L'iscrizione si riferisce anche alla successiva e radicale ristrutturazione fatta nel 1820 per volontà di padre Francesco Saverio Franza (appartenente alla congregazione del Santissimo Redentore, fondata da Sant'Alfonso Maria de Liguori) a causa dell'aumento del numero dei fedeli: fu quasi raddoppiata la capacità dell'edificio, aggiungendo tre arcate, ne furono rifatti il soffitto e la facciata. Sull'ingresso secondario della chiesa è posta un'iscrizione che ricorda tale lavoro:

(LA)

«Opus hocce
dicendi copia agendi vi
alter uti Nehemias
R.P.D Franciscus Xaverius Franza C. SS. R.
excitavit
eiusque frontem e lapide
Angelus Antonius D'Auria
cogitatam scalpsit. A.D.MDCCCXX»

(IT)

«Il padre Francesco Saverio Franza, come un nuovo Neemia, fece sorgere quest'opera con l'abbondanza della predicazione e con la forza delle opere, mentre Angelo Antonio D'Auria progettò e scolpì la facciata in pietra. Anno 1820.»

Un nuovo restauro, però, fu necessario, dopo il terremoto del 1930, quando l'Ufficio del Genio civile fece chiudere l'edificio. L'allora sacerdote don Giuseppe Ciampa, nominato parroco il 16 luglio 1933, dovette affrontare i problemi di quei lavori. Nel suo libro, infatti, così, scriveva:

«Si imponevano, quindi, radicali lavori di restauro con una spesa preventivata di varie centinaia di migliaia di lire... senza che in cassa ce ne fosse una sola.»

(Giuseppe Ciampa. Ruvo del Monte - Notizie storiche, pag. 165.)

Anche attraverso l'aiuto economico di molti emigrati ruvesi negli Stati Uniti, si poterono cominciare i lavori. Prima si demolì il tetto, si restaurò il campanile, si rifece il soffitto dotandolo di 175 cassettoni ottagonali in gesso rifiniti con ricca decorazione di cornici ed intagli; si rialzò il piano del presbiterio di tre gradini e lo si separò dal resto della chiesa tramite una balaustra di legno e ferro; furono demoliti alcuni altari, per far posto ad un fonte battesimale ricavato da un unico pezzo in pietra, ad un'acquasantiera e a due arcate sotto cui furono sistemati due confessionali.

L'abside venne adornato da una serie di colonnine a tortiglione in legno dorato con al centro un crocifisso in gesso circondato da quattro medaglioni che riportavano i simboli degli evangelisti.

Sotto l'altare maggiore furono poste le reliquie di San Donato martire, donate dal papa Pio VI. Il corpo del Santo Protettore, posto in un'urna, giunse a Ruvo dalle catacombe romane la seconda domenica dell'agosto 1783 grazie all'interessamento di padre Francesco Antonio De Paola, nativo di Ruvo e cugino del venerabile Domenico Blasucci, provinciale redentorista per lo Stato Pontificio. I lavori si protrassero per tre anni dal 1935. Il 4 settembre 1938 la Chiesa Madre fu benedetta da monsignor Augusto Bertazzoni vescovo di Potenza-Muro-Marsico. La chiesa fu nuovamente danneggiata dal terremoto del 23 novembre 1980. La stabilità dell'edificio fu compromessa dai crolli della muratura e di parte del timpano della facciata principale, dallo schiacciamento alla base dei pilastri del presbiterio nonché dalle numerose lesioni delle arcate delle navate. Il muro posteriore, nei pressi dell'abside, crollò, creando così un ampio squarcio sulla parete esterna della chiesa stessa.

Durante i lavori di consolidamento e restauro della chiesa furono eliminati alcuni elementi decorativi non idonei alla costruzione. Vennero rimossi il pulpito, che era addossato ad una parete, modellato in gesso su legno, già rovinato dal tempo e mal ridotto dal terremoto, la balaustra, sui gradini del presbiterio, le colonne a tortiglione e il crocifisso dall'abside. La chiesa ha comunque conservato il soffitto a cassettoni, il battistero e i due portoni in legno.

I lavori, iniziati subito dopo il sisma, anche a causa di lunghi periodi di sospensione per mancanza di finanziamenti durarono diciassette anni. La chiesa venne riaperta al culto il 14 agosto 1997 da mons. Vincenzo Cozzi vescovo di Melfi-Rapolla-Venosa.


Chiese minori


Chiese scomparse


Architetture civili


Castello di Ruvo del Monte
Castello di Ruvo del Monte

Aree naturali



На других языках


[de] Ruvo del Monte

Ruvo del Monte ist eine süditalienische Gemeinde (comune) mit 1035 Einwohnern (Stand 31. Dezember 2019) in der Provinz Potenza in der Basilikata. Die Gemeinde liegt etwa 32 Kilometer nordwestlich von Potenza und grenzt unmittelbar an die Provinz Avellino (Kampanien). Der Norden der Gemeinde wird durch den Ofanto begrenzt.

[en] Ruvo del Monte

Ruvo del Monte (Lucano: Rùve[3]) is a town and comune in the province of Potenza, in the region of Basilicata. It is bounded by the comuni of Atella, Calitri, Rapone, Rionero in Vulture, San Fele.

[es] Ruvo del Monte

Ruvo del Monte es una localidad italiana de la provincia de Potenza, región de Basilicata, con 1.142 habitantes.[3]

[fr] Ruvo del Monte

Ruvo del Monte est une commune italienne d'environ 1 100 habitants, située dans la province de Potenza, dans la région Basilicate, en Italie méridionale.
- [it] Ruvo del Monte

[ru] Руво-дель-Монте

Руво-дель-Монте (итал. Ruvo del Monte) — коммуна в Италии, расположена в регионе Базиликата, подчиняется административному центру Потенца.



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