Zangarona (Xingarona in arbëreshe, Zingaroni in dialetto lametino) è una frazione del comune di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro, in Calabria, il quale centro dista circa 6 chilometri, con una popolazione di circa 368 abitanti[1].
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Zangarona frazione | |
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(IT) Zangarona (AAE) Xingarona | |
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Localizzazione | |
Stato | ![]() |
Regione | ![]() |
Provincia | ![]() |
Comune | ![]() |
Territorio | |
Coordinate | 38°58′15.49″N 16°20′34.8″E |
Altitudine | 330 m s.l.m. |
Abitanti | 368[1] |
Sottodivisioni | Adduri; Calvario; Carmine; Cròchia; Croci; Filippa; Grutte; Judeca; Mulino; Palazzine; Piscagnale; Pisciavìa; San Nicola; Spagnolo; Terravecchia; |
Frazioni confinanti | Fronti |
Altre informazioni | |
Cod. postale | 88046 |
Prefisso | 0968 |
Fuso orario | UTC+1 |
Cod. catastale | M208 |
Targa | CZ |
Cl. sismica | zona 2 (sismicità media)[2] |
Nome abitanti | zangaronesi |
Patrono | Madonna delle Grazie (in albanese Shumbëria e Graxjevet) |
Giorno festivo | 2 luglio |
Cartografia | |
Sito istituzionale | |
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Si collega con il centro cittadino di Lamezia Terme con la S.P. 78, dal quale dista circa km 3; dista dallo svincolo autostradale SA-RC , dallo snodo ferroviario di Lamezia Terme centrale e dall'aeroporto internazionale circa 15 km.
Comunità italo-albanese (arbëreshë), ne è una delle più antiche della provincia di Catanzaro insieme a Vena di Maida, Caraffa e Andali.
Incastonata tra le colline nicastresi, la frazione di Zangarona è situata a circa 330 m s.l.m. Si può ammirare un ampio panorama dei dintorni, la città di Lamezia Terme e la sua piana, nelle giornate terse è possibile vedere le Isole Eolie, in particolar modo il vulcano di Stromboli, che fanno da sfondo al golfo di Sant'Eufemia. Dalla parte alta del paese, quindi intorno alla contrada Spagnolo e al bivio che collega Fronti, Zangarona e Magolà, si può anche vedere la cima dell'Etna. La frazione è immersa nella natura tipica della macchia mediterranea e offre una vista panoramica su gran parte dell’area dell’istmo, con i suoi centri abitati, le aree verdi e i litorali. Il centro storico è caratterizzato dalla presenza di abitazioni che hanno mantenuto la loro originalità, ma non sono state sottoposte a manutenzione, pertanto si trovano in discrete condizioni. Ciò posto, percorrendo le strette stradine, si scorgono piccoli ballatoi che aprono ad abitazioni di piccole dimensioni. Infatti, normalmente, le abitazioni sono costituite da una o due stanze e quasi sempre su due livelli. La tipologia costruttiva è in muratura di pietre e malta. Nelle abitazioni più importanti si intravedono finiture di intonaco.
Il nome Zangarona deriva dall'albanese Zan Charone o, più propriamente, Xingarona che vuol dire "gran corona", a ribadire che questo villaggio era sorto come una corona attorno a Nicastro come monito per il barone che si era ribellato all’autorità aragonese. Secondo altre fonti, il nome deriva da "zingaro", poiché i nicastresi accolsero con diffidenza gli albanesi, tanto da chiamare il villaggio "Zingaroni", e il nome nel corso dei secoli cambiò fino ad arrivare a chiamarsi Zangarona, come si chiama attualmente.
Con la morte di Giorgio Castriota Scanderbeg nel 1468, con la caduta di Kruja nel 1478 e quella di Scutari nel 1479, si ebbe la quasi definitiva sottomissione dell’Albania all’Impero ottomano. Ciò causò una fuga generale degli Albanesi verso l’Italia. Fu dopo questi tragici eventi che, probabilmente, giunsero in Italia molti albanesi i quali, dopo aver vagato per varie località, si fermarono in Calabria per ripopolare o fondare diversi insediamenti, tra i quali anche quello di Zangarona.[3]
Non sappiamo con esattezza quando gli albanesi giunsero a Zangarona; sappaimo invece che erano presenti nel 1503, quando, secondo il censimento di quell’anno, vennero contati 25 fuochi albanesi.[4] A quel tempo le terre appartenevano a Marcantonio Caracciolo, 1º Conte di Nicastro, il quale nel 1496 aveva acquistato il contado di Nicastro, che comprendeva anche le terre di Zangarona.[3][5] Il luogo preciso dove sorgeva il primo nucleo del villaggio era molto più a sud dell’attuale Zangarona, molto più vicino al fiume che scorre nella parte bassa della collina.
Di Zangarona, padre Giovanni Fiore da Cropani rifedisce, intorno al 1500:
«Villaggio del quale Marafiòti, non fa altra menzione, se non che di chiamarlo Zangarona, e che parlano Albanesi nel medesimo Territorio di Nicastro, ed Io soggiongo, che ancora quando vogliono parlano bene la lingua Italiana. È di mediocre popolazione da 100 fuochi, è stimabile per il marmo verde mischio che si truova alle sue falde, qual serve per abbellirr gl'edifici della città di Nicastro, al di cui stato va unita, sotto il dominio de' Principi di Castiglione».
L'identità albanese di Zangarona, sullo scorcio del XVII secolo, è dunque ancora intatta e vitale, ma al tempo stesso ben integrata nella nuova dimensione geo-antropologica calabrese e la produzione di marmi la integra, fra l'altro, nel circuito commerciale del centro capoluogo.
In poco più di dieci anni dalla fondazione del paese, sorse la chiesa di San Nicola di Bari, di rito greco-ortodosso, anche per l’influsso di alcuni monaci basiliani che per sfuggire alle persecuzioni arabe erano emigrati in massa verso l’Italia portando con sé la cultura, le conoscenze e la loro arte. La chiesa di San Nicola fu adornata da bellissime e preziose icone, ampliata e nei suoi sotterranei si creò un vasto cimitero sotterraneo dove venivano seppelliti tutte le genti del villaggio. Con l’aiuto della popolazione fu costruito anche un convento annesso alla chiesa e una foresteria dove venivano ospitati i mendicanti e i viandanti di passaggio. Già allora, esisteva li una sorgente di acqua limpida e fresca di cui oggi resta una fontana purtroppo non potabile per le infiltrazioni fognarie (Funtana di Santu Nicola - Kroi i Shën Nikolla in arbëreshë).
La piazza e la Judeca
Più in basso della chiesa era sorta la piazza, uno spiazzo circondato da piccole costruzioni dove ogni quindici giorni circa si svolgeva una fiera che richiamava gente dei vicini villaggi. Nel corso degli anni il paese andò sempre più ingrandendosi e agli inizi del XVI Secolo si rifugiarono a Zangarona parecchie famiglie di ebrei nicastresi che erano stati espulsi con un editto del 1510. Costoro costruirono le loro case a monte della chiesa di San Nicola nella zona che poi venne soprannominata Giudecca e che ancora oggi porta questo nome. La vita degli albanesi in Calabria non fu certo facile nei primi tempi, in quanto erano guardati con diffidenza dalle popolazioni autoctone.
La nuova chiesa di santa Maria delle Grazie
Negli anni a seguire fu iniziata la costruzione di una nuova chiesa molto più a monte della chiesa di S. Nicola, in una zona coperta da una vasta estensione di fichi d’india e dove la tradizione vuole che la costruzione fosse ubicata proprio lì dove si dice che la statua della Madonna delle Grazie si fosse adagiata su una di queste piante. Per reperire i fondi per la costruzione di questa nuova chiesa fu fatta una raccolta "porta a porta" (ostiatim) fra tutte le famiglie di Zangarona. Tale costruzione durò a lungo per circa mezzo secolo e fu terminata solo nei primi anni del 1600 come testimonia la scritta sul portale.
I disastrosi terremoti del 1638 e del 1783
In quegli stessi anni una tremenda scossa di terremoto danneggiò parecchie case e soprattutto la chiesa di San Nicola ma questo fu solo il triste annunzio del flagello che doveva colpire il paese. Era il 1638, sabato 27 Marzo (giorno precedente alla Domenica delle palme) quando attorno alle 20.00 tutto il casale fu sobbalzato da un terremoto così forte e prolungato che caddero tutti gli edifici del casale compresa la chiesa di San Nicola. In quell'occasione si contarono circa 520 morti, di cui 280 uomini e 240 donne. I morti furono per la maggior parte artigiani e ricchi, poiché la maggior parte dei contadini doveva ancora rientrare dalle campagne. Nonostante tanta distruzione gli antenati si rimboccarono le maniche e in pochi anni ricostruirono e ripararono tutti gli edifici crollati. In quegli anni anche sotto la pressione del Vescovo di Nicastro, che in tutti i modi cercava di far adottare il rito latino, gli zangaronesi abbracciarono la nuova fede e la nuova chiesa matrice fu dedicata a Maria SS. delle Grazie, anche perché la chiesa di San Nicola era stata danneggiata seriamente dal terremoto e perciò fu ritenuto opportuno non restaurarla per il luogo dove sorgeva perché era soggetto a continue frane. Un altro terremoto disastroso si verificò 100 anni più tardi, il 26 febbraio 1783, e in quell'occasione fu completamente distrutta la chiesa di San Nicola che era già stata sconsacrata e anche le tumulazioni dei defunti erano state spostate sotto la nuova chiesa.
Nel 1809 Zangarona fu dichiarata università dal Regno borbonico e quindi Comune a tutti gli effetti. Vi fu anche aggregato il casale di Fronti che, era sorto nei primi del 1700 a Nord di Zangarona da agricoltori che venivano dal vicino comune di Serrastretta. Il comune fu soppresso nel 1829 come rileva lo storico “Gustavo Valente” presso l’archivio di Stato di Napoli, ma poiché gli abitanti di Zangarona non accettarono il provvedimento di soppressione, la monarchia borbonica, per il paternalismo che la contraddistingueva, concesse una autonomia amministrativa non di diritto ma di fatto. Quando nel 1847 gli abitanti di Zangarona si resero conto che l’autonomia non era più vantaggiosa, chiesero di essere aggregati all'università di Nicastro.
Si trova nella piazza principale. Nella prima epoca, gli albanesi eressero la loro chiesa sotto il titolo di “San Nicola di Bari” nel rito greco-ortodosso, che durò fino al XVI secolo. Nel 1601, quando gli abitanti passarono al rito latino, la frazione fu elevata a parrocchia da Mons. Montorio. Nel 1616, fu eretta un'altra chiesa sotto il titolo di Santa Maria delle Grazie e ogni cittadino diede il suo contributo. La nuova chiesa era molto più grande: oltre all’altare maggiore in mischio verde di Zangarona datato 1650, probabile opera di marmorari gimiglianesi[6], dedicato a Maria SS. delle Grazie, vi erano altri quattro altari dedicati al Santissimo Sacramento, al Santo Rosario, alla Madonna Addolorata e alle Anime del Purgatorio. L'altare maggiore e la nicchia alle sue spalle furono costruiti in marmo nero trovato in una cava vicino al paese. Il campanile della chiesa era molto più alto di quello attuale e finiva a punta. Vi erano quattro campane, di cui la maggiore venne chiamata Santa Maria delle Grazie, la media Santa Barbara e la più piccola San Nicola. Con il terremoto del 1638, cadde la punta del campanile, con l'orologio e la campana più grande. Attualmente il campanile è uguale al tetto della chiesa, ha base quadrata ed è a forma di torre con una balaustra sui lati. Tra la fine degli anni ‘80 e l'inizio degli anni ’90 venne ristrutturata la pavimentazione interna della chiesa, e, durante i lavori, è stata rinvenuta una lapide in marmo bianco (attualmente posta sul primo pilastro a destra rispetto all'ingresso principale) di dimensioni 80x60 cm, con fogliame e volute. L'iscrizione riporta il nome di Francesco Ciliberti, datata 1782. All'interno sono presenti tele e statue lignee risalenti al '600 e all'800.
La statua con maggiore pregio è sicuramente quella marmorea della Madonna delle Grazie risalente al 1607, opera commissionata dal Vicario episcopale di Nicastro, D. Gregorio de Straniis, allo scultore napoletano Francesco Cassano (le cui opere scultoree adornano tra l'altro la Real Cappella del Tesoro di San Gennaro a Napoli), come risulta da un documento dell'Archivio Storico del Banco di Napoli[7]. Ora si trova in una nicchia nel presbiterio. È raffigurata in piedi, col bambino in braccio, mentre sta mostrando i seni, simbolo della quale Lei "nutre" la Chiesa con la Parola di Dio. La mano sinistra che tiene in braccio Gesù ha tre dita alzate e due chiuse. Le tre dita simboleggiano la Santissima Trinità. Sull'indice ha un anello, per simboleggiare che porta in braccio la seconda persona della Trinità, ovvero il Figlio Gesù Cristo. Una leggenda popolare narra che venne trovata in mare o sulle piante rigogliose di fichi d'India del paese, e venne portata nella chiesa di San Nicola ma per diverse notti si fece trovare nel luogo dove c'è ora la chiesa. Perciò si costruì la nuova chiesa parrocchiale intitolata a S. Maria delle Grazie consacrata nel 1616 da Mons. Montorio.
La parrocchia comprende la chiesa di san Giuseppe in Fronti.
Fino a qualche anno fa, la chiesa di Zangarona possedeva due tele, ora custodite presso il Museo Diocesano Lametino e sostituite in chiesa da copie:
L'unica tela originale ancora conservata è quella della Madonna del Carmine fra San Michele e San Gregorio opera ottocentesca attribuibile all'artista nicastrese Francesco Pallone[10], allievo di Francesco Colelli: la Madonna, con Gesù bambino in braccio e lo scapolare in mano, si trova su una nuvola. Sotto di Lei si trovano: il papa di quell'epoca, San Michele che uccide il demonio e le anime dannate del Purgatorio. Di recente è stata acquistata una copia del "Battesimo di Gesù" di Santi di Tito, posizionata nella navata laterale. La chiesa presenta una pianta longitudinale a due navate, con area presbiteriale a pianta quadrata, sovrastata da catino semicircolare. La copertura è in legno a vista con capriate, nella navata principale, piano nella navata laterale. Il manto di copertura è in tegole di laterizio. Le due navate sono collegate da quattro archi a tutto sesto e da lesene che si collegano con il cornicione sovrastante. Al di sopra di quest'ultimo, sono collocate le finestre che illuminano l'aula. La facciata principale è caratterizzata da una coppia di lesene al di sopra delle quali vi è il fregio che fa da base al timpano terminale.
Al centro emerge il portale in pietra dell'ingresso principale, opera di maestranze roglianesi, del tipo centinato, ad arco di trionfo con putti agli angoli, datato 1616.
Sul lato destro della facciata è presente il corpo della navata laterale, con un secondo ingresso, che termina con copertura piana e balaustra. La prima navata e la più grande è quella dedicata alla Madonna delle Grazie, con la statua marmorea appunto della Madonna nella nicchia di marmo nero trovato in paese, la statua processionale grande lignea della Madonna, quella di San Giuseppe e le due copie delle tele, e in più la teca con l'antica statua dell'Addolorata. La seconda navata, più piccola, è dedicata al Santissimo Sacramento, ma prima era dedicata a San Giuseppe. Infatti, nella nicchia dove ora è posta la statua del Sacro Cuore, c'era la statua lignea di San Giuseppe che ora è nella navata principale. Oltre alla statua del Sacro Cuore di Gesù, c'è quella della Madonna Immacolata, in cartapesta del '700, proveniente dalle Puglie, e quella di Gesù sulla croce. Sempre nella navata, è posto un quadro della Madonna di Dipodi, donato nel 2017 dal rettore del Santuario.
In occasione del quarto centenario della costruzione della Chiesa, sono stati effettuati lavori di ampliamento del presbiterio (posa della nuova pavimentazione, installazione della nuova sede presidenziale, dell'Ambone proveniente dalla Cattedrale di Lamezia Terme, del Fonte Battesimale e installazione del nuovo Altare) e avendo consacrato il nuovo altare, è stata posizionata, sul secondo pilastro a destra dell'ingresso principale, una targa sulla quale è scritto: "Nell'anno del Signore 2016, il giorno 2 del mese di luglio, nell'Anno Santo straordinario della Misericordia indetto dal Romano Pontefice Francesco, nel IV centenario dell'erezione di questa Chiesa parrocchiale, essendo parroco don Carlo Ragozzino, il Vescovo di Lamezia Terme S. E. Mons. Luigi Antonio Cantafora ha dedicato l'Altare in onore di nostro Signore Gesù Cristo e ha collocato al suo interno le Reliquie dei Santi Martiri: San Pantaleone, Santa Costanza, San Bonifacio, San Pietro Chanel, San Carlo Lwanga e Santa Rita da Cascia. È concessa l'indulgenza plenaria al fedele che, nel giorno dell'Anniversario della Dedicazione, piamente visita questa Chiesa e vi recita un Padre nostro e un Credo.
Laboratori artigianali
PETULLA: zeppola, frittella fatta con sale, farina, patate e lievito;
KUCUPË: dolce fatto con farina, zucchero e uova;
KULEÇE: ciambelle fatte con farina, zucchero, uova e lievito;
Oltre a questi piatti di origini arbëreshe, si preparano piatti tipici della tradizione calabrese.
Fino a poco tempo fa, si indossava il tipico costume calabrese della "pacchiana". Alcuni si vestivano anche con costumi di origine arbëreshë, ma questi abiti ormai sono in disuso.
Le "Fate delle Grutte" sono un racconto zangaronese, il quale narra che alla montagna di Zangarona vivessero delle Fate.
Testo: Le Fate abitavano alle Grutte sopra la montagna di Zangarona. La loro dimora era nascosta tra i boschi freschi e le rocce e uscivano solo verso mezzogiorno per ballare sotto le piante. Chiunque passando di là a quell'ora poteva vederle... Si dice che a molti cristiani furono regalati ori, terre e castelli solo perché trattavano bene le Fate. Ad altri invece vennero fatte magarìe, e tante sciagure patirono solo perché mancarono di rispetto alle Fate. Ecco cosa successe a quel contadino che un giorno passando per le Grutte di ritorno dai campi vide le Fate che ballavano animatamente come loro solito. C'erano quelle che battevano le dita sul tamburello per fare il ritmo e quelle che suonano il flauto. Le Fate più ballavano e più diventavano allegre. Una di loro nella foga perse un anello molto prezioso o forse lo fece apposta per mettere alla prova l'uomo. Il contadino, infatti, appena vide l'anello per terra fra gli arbusti lo raccolse e se ne scappò. Appena arrivò a casa ebbe la pensata di regalarlo alla sua fidanzata. Venne fissata la data delle nozze e furono invitati tutti gli abitanti del paese. Come era tradizione, ai battesimi e ai matrimoni bisognava lasciare un posto vacante per far sedere le Fate, ma per paura che le Fate si accorgessero dell'anello il contadino decise di non invitarle. E molto male fece. Le fate si offesero e da quel giorno jettarono una jestima al contadino e a tutta la sua famiglia. L'anello avrebbe portato solo sfortuna a chi l'avesse posseduto fino al giorno in cui qualcuno l'avrebbe riconsegnato alle Fate delle Grutte.
Zangarona è stato un comune autonomo fino al 1847, anno in cui venne soppresso insieme a Fronti e diventò frazione di Nicastro ora Lamezia Terme.
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