Sidolo è una frazione del comune di Bardi, in provincia di Parma.
Sidolo frazione | |
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Localizzazione | |
Stato | ![]() |
Regione | ![]() |
Provincia | ![]() |
Comune | ![]() |
Territorio | |
Coordinate | 44°34′25.4″N 9°42′03.4″E |
Altitudine | 687 m s.l.m. |
Abitanti | 20[2] |
Altre informazioni | |
Cod. postale | 43032 |
Prefisso | 0525 |
Fuso orario | UTC+1 |
Cartografia | |
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La località dista 6,92 km dal capoluogo.[1]
La piccola frazione montana sorge sul versante orientale della valle del torrente Toncina, affluente del Ceno.[3]
La prima testimonianza dell'esistenza di un insediamento umano a Sidolo risale all'881, quando il re d'Italia Carlo il Grosso fece dono all'abate della basilica di Sant'Ambrogio di Milano della chiesa di Sant'Ambrogio e delle terre annesse.[4]
In seguito fu edificato a presidio del borgo un castello, appartenente agli inizi del XII secolo a un ramo della famiglia Platoni; nel 1180 il conte Bonifacio di Bonifacio e il conte Armanno de' Platoni Rossi, signori di Montesidolo, giurarono fedeltà perpetua al Comune di Piacenza,[5] cui donarono il feudo mantenendone tuttavia alcuni diritti,[6] che passarono alla famiglia Pallavicino in seguito al matrimonio di Solusta Platoni Rossi, figlia di Armanno, col marchese Guglielmo.[7]
Durante la seconda guerra mondiale, nell'estate del 1944 la zona fu teatro dell'operazione Wallenstein, una serie di rastrellamenti di partigiani effettuati da forze nazi-fasciste:[8] a Sidolo il 20 luglio di quell'anno furono uccise otto persone, tra le quali due sacerdoti.[9]
![]() | Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa di Sant'Ambrogio (Bardi). |
Edificata originariamente entro il IX secolo, la chiesa fu ricostruita più volte nei secoli, a partire dal 1185; ristrutturata in stile neoclassico a partire dal 1854, fu riconsacrata dal vescovo di Piacenza Giovanni Battista Scalabrini al termine dei lavori il 30 giugno del 1900; al suo interno, riccamente decorato con affreschi a soggetto religioso, sono ospitate le statue raffiguranti Sant'Ambrogio, la Madonna e San Giuseppe col Bambino.[10]
Consacrato nel 1872, l'oratorio neoclassico di Pieve Dugara fu restaurato tra il 1873 e il 1878 nel corso dei lavori di costruzione della sagrestia. Il piccolo luogo di culto presenta una facciata a capanna in pietra delimitata da due lesene doriche a sostegno del frontone triangolare in sommità, coronato da un piccolo campanile a vela; al centro è collocato il portale d'ingresso, affiancato da due finestrelle rettangolari e sormontato da un'apertura a lunetta; all'interno la navata, coperta da una volta a botte lunettata, è ornata sulle pareti con lesene doriche a sostegno del cornicione perimetrale; il presbiterio absidato, preceduto dall'arco trionfale a tutto sesto, accoglie sul fondo l'altare maggiore.[11]
Appartenuto nel XII secolo alla famiglia Platoni Rossi, il castello cadde nei secoli successivi in profondo degrado, tanto che nel 1873 se ne conservavano soltanto i ruderi,[12] in parte ancora oggi visibili a monte della frazione.[3]
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