Ponte di Barbarano è una frazione del comune di Barbarano Mossano, in provincia di Vicenza. Dista circa 4 chilometri da Barbarano Vicentino, di cui è stata frazione fino al 17 febbraio 2018.
Ponte di Barbarano frazione | |
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Localizzazione | |
Stato | ![]() |
Regione | ![]() |
Provincia | Vicenza |
Comune | Barbarano Mossano |
Territorio | |
Coordinate | 45°23′31.42″N 11°34′42.49″E |
Abitanti | 2 250[1] |
Altre informazioni | |
Cod. postale | 36048 |
Prefisso | 0444 |
Fuso orario | UTC+1 |
Cartografia | |
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Agli inizi del Cinquecento la frazione di Ponte di Barbarano era un piccolo borgo e costituiva il punto di collegamento tra Vicenza, Padova e Venezia. In età romana la nascita del centro abitato contribuì alla costruzione della "strada della Riviera Berica" che da Este conduceva a Vicenza. Un'ulteriore tipologia di collegamento era quella fluviale lungo il canale Bisatto, il cui nome (che in lingua italiana significa "anguilla") si deve all'antica conformazione di anse e contro anse rettificate in due periodi per favorire la bonifica dell'area adiacente al lago di Fimon.
I monaci Benedettini e i Veneziani rettificarono il tratto fino Ponte di Barbaranoe collegatolo con chiusa al fiume Bacchiglione per renderlo navigabile, la navigabilità duro molto poco dato che una piena distrusse le chiuse lungo il percorso e il fondo si alzo a causa dei depositi fangosi. Le barche partivano dal porticciolo di Ponte di Barbarano.
Il nome della frazione trae origine dal ponte che fu costruito per collegare Ponte di Barbarano con l'adiacente frazione di Monticello. Il ponte risale agli anni intorno al 1520-1530 ed era caratterizzato da una stele affissa sul parapetto. La stele è conosciuta come "Stele dei Vicari" perché ci sono scolpiti, oltre allo stemma di Vicenza, gli stemmi di alcune famiglie i cui membri hanno ricoperto la carica di vicario del paese.
Una nota importante da ricordare è la decisione del Senato Veneto di porre il paese sotto la protezione della Serenissima in seguito agli attacchi del 1509-11 delle truppe francesi, spagnole e tedesche che erano transitate per l'intero territorio di Barbarano. Alla fine del Settecento si conclude il governo veneziano e il paese viene inglobato dapprima nell'impero austro-ungarico e in seguito, dopo la dominazione napoleonica, annesso al Regno d'Italia.
Sorta negli anni 1923-1926 per dare risposta ad una popolazione notevolmente aumentata, venne solennemente inaugurata il 20 maggio 1926 e dedicata al Sacro Cuore di Gesù; nel 1942 divenne sede di una parrocchia di nuova istituzione.
A progettare l'edificio - a pianta longitudinale, in stile neoromanico, con tre navate divise da colonne in pietra di San Gottardo a fusto liscio e con capitello a foglie d'acanto - fu l'architetto Ferruccio Chemello, il quale realizzò anche l'altare in pietra di Nanto con sfondi dorati.
Il campanile visibile oggi non è quello originario, e non è nemmeno quello previsto da Chemello, che ne voleva uno in stile neoromanico a pianta ottagonale. Originariamente venne eretto, sul fondo del lato sinistro del tetto della chiesa, un frontone a timpano con tre vani ad arco entro cui erano alloggiate tre campanelle[2].
La villa, dal 1544 proprietà della famiglia Traverso, nel corso dei secoli fu soggetta a diverse modifiche e ampliamenti, così come a passaggi di proprietà fino a giungere nel 1963 alla famiglia Rigon.
Il pianterreno, con le cornici delle aperture marcate da bugne in pietra di Nanto, denota un'appartenenza alla seconda metà del Cinquecento o all'inizio del Seicento; al secolo successivo risale invece il piano superiore. L'interno della villa è impreziosito dal salone centrale con il soffitto a travature, arricchite da decorazioni pittoriche cinquecentesche.
Sul lato meridionale, la villa guarda su un articolato giardino, ornato un tempo da statue e concluso da una peschiera, divisa al centro da un ponticello e alimentata dall'acqua di una roggia proveniente da Monticello. Interessante è anche il complesso degli annessi rustici, con la barchessa e la colombara, che si snoda a “L” sul lato orientale.
Il complesso architettonico comprende anche l'oratorio dedicato al Redentore. Fatto edificare fra il 1665 e il 1685 da Francesco Molin, presenta la facciata rivolta verso la strada. Il timpano è ornato di acroteri e due nicchie con le statue di San Giovanni e di Sant'Agostino fiancheggiano l'elegante portale d'ingresso. All'interno della cappella degno di nota è il soffitto, decorato da ricche cornici che denunciano uno spiccato gusto veneziano[3].
In contrà Rampezzana sorge questa villa, detta anche Ca' Barziza[4], costruita verso la metà del XVII secolo da Giovanni Maria Marchesini, che aveva acquistato da diversi proprietari alcune possessioni chiamate “Le Feriane”, “Trenta Monache”, “Il Brollo Avanti Casa” e “Le Vesine”, che comprendevano sia campi sia appezzamenti di terreno coltivati a vigneti e alberi da frutto.
L'edificio presenta la sua ricchezza nella facciata a mezzogiorno, offrendo una scenografia barocca. Nel timpano una meridiana e, a conclusione del fastigio triangolare, tre figure femminili: quella al vertice stringe al seno un bambino, e simboleggia la Carità; quella a destra si posa su quanto rimane di un'ancora, ed è allegoria della Speranza; quella di sinistra aggrappata alla parte bassa dell'asta di una croce ora perduta, è allegoria della Fede. Davanti alla villa si trova l'ampia pavimentazione a quadrati di cotto: una delle poche della zona sopravvissute in relativa integrità. Ai lati, le barchesse con la loro funzione di deposito per attrezzi agricoli, stalla, scuderia, terminano con le “colombare”.
Annesso alla villa vi è l'oratorio dei santi Cristoforo e Antonio da Padova, ultimato nel 1661. Sulla sommità della facciata tre statue: al centro il Redentore, a destra Sant'Antonio e a sinistra San Cristoforo. Al centro dell'altare monumentale una grande tela dell'epoca rappresenta la Vergine con il Bambino che guarda benevolmente verso un enorme San Cristoforo, accanto al quale sta Sant'Antonio. Nell'arca di marmo posta sopra la mensa dell'altare giacciono, all'interno di un'urna sigillata, alcune reliquie di San Cesario, arcivescovo di Arles che morì nel 542 d.C.[3].
La villa - che sorge accanto alla precedente - verso la metà del XVII secolo era di proprietà dei conti Bissari ed è probabile che sia stata proprio questa famiglia a costruirla. Annesso alla proprietà vi era anche l'oratorio pubblico di Santa Maria Maddalena, demolito nel 1802. Dal 1785 fino almeno al 1850 la villa restò in possesso della famiglia Grandi e nel 1950 venne infine venduta agli attuali proprietari, la famiglia Meggiolaro.
L'impianto architettonico della villa, per la sua semplicità modulare e strutturale, ha fatto supporre che un momento costruttivo potesse essere avvenuto attorno alla metà del XVI secolo per opera del vicentino Francesco Oliviera. All'interno, sopra le tre porte della sala a sud-ovest vi sono alcune cornici in stucco che contenevano dipinti del pittore barocco Costantino Pasqualotto detto “il Costantini”. In uno dei locali ricavati tra la barchessa e l'abitazione padronale è ancora presente un grazioso caminetto della seconda metà del Cinquecento[3].
La villa deve essere stata costruita nelle forme attuali nella seconda metà del Settecento per volontà del proprietario Silvestro Breganzato. Come per la poco lontana villa Meggiolaro, anche questa abitazione si affaccia con il suo fianco est sulla statale Riviera Berica. I pilastri rimodernati sui quali è fissato il cancello in ferro conservano ancora in discrete condizioni i rinfianchi modanati a cartoccio in pietra di Nanto del tardo Settecento.
L'impostazione generale degli spazi, organizzati attorno ad un vano principale passante, è tipica di molte abitazioni dominicali tardo gotiche del vicentino, e questo fa supporre l'esistenza di un edificio antecedente al XVIII secolo. Attiguo alla barchessa vi è un edificio utilizzato per secoli come un forno, poco intaccato dal tempo e dai restauri[3].
La villa apparteneva anticamente alla famiglia Traverso, già proprietaria di villa Ghiotto e trasferitasi dal castello di Barbarano per difendere meglio i diritti feudali che vantava. La proprietà viene nominata per la prima volta nella denuncia d'estimo del 1544, ma forse l'edificio ospitò prima una comunità conventuale di monaci. In seguito passò alla famiglia Sesso per poi ritornare, a metà del XIX secolo, proprietà dei Traverso.
La villa, che sorge ai piedi del colle Monticello, conserva forme architettoniche che fanno risalire la sua prima costruzione almeno al Cinquecento. Un'interessante struttura esterna, connessa alla villa, è una specie di torretta cilindrica in mattoni, forse il “servizio” della camera da letto o la colombara. Su sette pilastri si allunga la barchessa, completamente restaurata, adibita un tempo a stalla e ad uso dei domestici. Alcune leggende, non confortate da documenti storici, tramandano che le cantine di questa casa fossero parte di una rete di camminamenti nascosti e protetti collegati con altri luoghi ed edifici vicini. Davanti alla facciata meridionale, adiacente alla via pubblica, vi era una sorgente di acqua termale, ormai prosciugata[3].
Anch'essa nominata nella denuncia d'estimo del 1544 come proprietà della famiglia Traverso, la villa fu oggetto di molte ristrutturazioni e ampliamenti. Vicino ad essa esisteva un oratorio dedicato ai Santi Leonzio e Carpoforo, patroni di Vicenza; vicino ad esso vi era una chiesa più antica, soggetta alla Pieve di Barbarano, ed entrambi gli edifici erano proprietà della famiglia Traverso; di essi non rimane traccia dalla fine dell'Ottocento, quando proprietaria divenne la famiglia Ghiotto.
Attualmente la proprietà giace molto appartata, quasi nascosta da due strutture moderne, la prima delle quali è una grande e bella residenza ottocentesca, mentre la seconda è un'alta tettoia, sostenuta da travi in cemento per il ricovero di attrezzi e macchinari agricoli. Sulla villa originale vennero a più riprese eseguiti interventi tardo quattrocenteschi. La loggia tardo settecentesca costituisce l'elemento caratterizzante di tutta la villa, a cominciare dalla sua inusuale collocazione all'estremità sinistra della facciata[3].
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