Alessandria del Carretto è un comune italiano di 355 abitanti[1] della provincia di Cosenza. Il suo territorio confina con quello dei comuni di Albidona, Castroregio, Cerchiara, Oriolo, Plataci, San Lorenzo Bellizzi, San Paolo Albanese, Terranova del Pollino. Fa parte del parco nazionale del Pollino, del quale è il comune più alto, essendo situato a 1000 metri s.l.m.[4]. Alessandria del Carretto fa parte dell'associazione Borghi autentici d'Italia.
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Alessandria del Carretto comune | |
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Localizzazione | |
Stato | ![]() |
Regione | ![]() |
Provincia | ![]() |
Amministrazione | |
Sindaco | Domenico Vuodo (lista civica Impegno comune) dal 27-5-2019 |
Territorio | |
Coordinate | 39°58′N 16°23′E |
Altitudine | 1 000 m s.l.m. |
Superficie | 41,12 km² |
Abitanti | 355[1] (31-8-2022) |
Densità | 8,63 ab./km² |
Comuni confinanti | Albidona, Castroregio, Cerchiara di Calabria, Oriolo, Plataci, San Paolo Albanese, Cersosimo, Terranova di Pollino (PZ) |
Altre informazioni | |
Cod. postale | 87070 |
Prefisso | 0981 |
Fuso orario | UTC+1 |
Codice ISTAT | 078007 |
Cod. catastale | A183 |
Targa | CS |
Cl. sismica | zona 2 (sismicità media)[2] |
Cl. climatica | zona E, 2 794 GG[3] |
Nome abitanti | alessandrini |
Patrono | Sant'Alessandro Papa Martire |
Giorno festivo | ultima domenica di aprile - 3 maggio |
Cartografia | |
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Sito istituzionale | |
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Un’antica pergamena (1193) redatta in greco e tradotta poi in latino (1277) è il documento più antico relativo all’attuale territorio di Alessandria del Carretto. Si tratta di una donazione di terreni, di cui sono riportati i confini, ad un monastero preesistente. Tuttavia, la storia di Alessandria del Carretto per come la conosciamo va ricercata nel XVII sec a partire da Oriolo, infatti è proprio da lì che il borgo trova la sua origine. Nel 1553 Marcello Pignone divenne barone di Oriolo, successivamente nel 1558 ottenne anche il titolo di barone. Dal matrimonio tra Marcello e Fulvia Lignano Gattinara di Castro nacque Alfonso, 2º marchese di Oriolo, che sposò nel 1580 Costanza di Sangro del Carretto, figlia ed erede di Ippolita dei marchesi del Finale; i loro discendenti adottarono il doppio cognome Pignone del Carretto. Nel 1583 morì Alfonso del Carretto e i titoli passarono ad Alessandro, nel 1633, su un insediamento preesistente, fondò Alessandria del Carretto della quale divenne il 1º principe, probabilmente con l'intento di aumentare i terreni coltivabili e quindi le produzioni cerealicole.
La Chiesa Madre è il fulcro centrale del borgo, contemporanea alla nascita di esso, è stata edificata intorno al 1600. La facciata in stile misto è in pietra viva e vi si trovano 3 portali ad arco a tutto sesto nella parte inferiore mentre in quella superiore abbiamo una monofora centrale affiancata da due nicchie. Nella parte sinistra si erge un campanile a base ottagonale. L’interno è costituito da tre navate decorate in stile neoclassico. Nelle navate laterali vi sono custodite le statue dei vari santi principali del paese. Nel corso dei secoli ha subito numerosi interventi di ristrutturazione, gli ultimi sono stati quelli del secondo dopoguerra e quelli alla fine degli anni ’80 inizio ’90.
La piccola Cappella di San Rocco è situata all’inizio del centro storico, è costituita da una struttura a capanna molto sobria con la facciata in pietra viva. Sulla facciata principale abbiamo l’ingresso costituito da un arco a tutto sesto, sormontato da una monofora. Sulla sommità abbiamo un piccolo campanile a vela. Degna di nota è la piccola statuetta che si trova all’interno della chiesa è stata donata dall’attuale parroco Don Yusti: la “Madona Nera”.
Nella contrada “Sant’Elia” troviamo i resti dell’omonima cappella costruita, probabilmente, intorno all’anno 1000 da monaci bizantini. I monaci si stanziarono nella zona dove costruirono la Cappella, di culto bizantino, che poi diventò l’attuale contrada di “Sant’Elia” e, probabilmente, si stanziarono anche in quella che ora corrisponde alla contrada di “Megliard”, in queste due contrade troviamo le poche zone pianeggianti dei territori di Alessandria, che loro coltivarono per diversi anni. Anche nella contrada di “Megliard” vi sono dei resti di una struttura di epora ricuducibile, presumibilmente, a quella della Cappella. Tutt’oggi nella Cappella di Sant’Elia sono visibili dei resti di affreschi bizantini.
La Cappella della Madonna dello Sparviere, si trova in località "Bruscate" ed è stata costruita intorno agli anni '80. Annualmente, il 15 agosto vi si tiene una messa e la seguente processione. Nei pressi della Cappella, in località "Tappaiolo" vi è un laghetto artificiale, contemporaneo alla costruzione della Cappella, che con varie aree pic-nic offre possibilità di sosta.
Il Palazzo Chidichimo, costruito nel XVII secolo, è una delle costruzioni più antiche del borgo. Al momento della sua costruzione aveva un altro nome: Palazzo Pignone del Carretto perché dimora della famiglia dei Pignone fondatari del paese. Il palazzo Chidichimo, in realtà, è composto da due grandi residenze. La principale è una residenza privata, ristrutturata nei decenni passati, mantiene ancora il suo carattere originale soprattutto grazie alla muratura in pietra locale con facciate a vista. La residenza secondaria, invece, di proprietà comunale, è stata ristrutturata negli ultimi anni ed oggi è sede di mostre e convegni vari.
Il museo Guido Chidichimo si trova nelle vicinanze dell’orto botanico ed è dedicato all’omonimo cardio-chirurgo italiano. Nato ad Alessandria, morto il 2 settembre 1998 a Roma, ora riposa nel suo paese natio. La sua vita è stata ricca di meriti e onorificenze scaturite dal suo grande impegno nel mondo della medicina. È stato il primo medico italiano ed eseguire un intervento di cardiochirurgia a cuore aperto e nel corso della sua vita ha eseguito oltre 35.000 interventi di Chirurgia Generale e oltre 10.000 di Cardiologia Chirurgica a cuore aperto. È stato, inoltre, autore di 250 pubblicazioni scientifiche in ambito di Chirurgia e di Cardio-angio-chirurgia.
Guido Chidichimo ha lasciato tutto l’arredo dello studio romano e tutto il materiale culturale e scientifico che lo componeva al paese natio e così, dopo la sua morte, l’amministrazione comunale ha dato origine al Museo Guido Chidichimo dove si può apprezzare la ricostruzione dello studio romano, con tanto di alcuni particolarissimi strumenti operatori, della sua ricca biblioteca, nonché quadri, attestazioni, riconoscimenti che ci guidano lungo il suo percorso medico e scientifico, da Pechino a Roma, da immagini con l’on.Rita Levi Montalcini a quelle relative all’incontro con Papa Paolo IV a Castel Gandolfo. Nel dicembre del 2000 l’ospedale di Trebisacce è stato dedicato all'illustre Guido Chidichimo.
Il Museo del Lupo ad Alessandria del Carretto è un punto di riferimento per chi visita il Parco Nazionale del Pollino. All'interno vi è stato creato un percorso a pannelli sulla vita, l'ecologia e l'etologia del lupo e la storia del suo difficile rapporto con l'uomo. Il lupo è il protagonista di questo museo ma insieme ad esso troviamo altri importanti elementi della fauna locale.
Voluto dall’amministrazione comunale negli anni ‘90 è ricco di flora nativa. L’orto botanico offre un percorso sentieristico all’interno di esso alla scoperta delle varie tipologie di fora che vi si trovano e anche per avere un momento di relax immergendosi nella natura. All’interno di esso troviamo, inoltre, un parco giochi, un’area pic-nic e vi è anche il punto di raccolta dell’acqua che viene distribuita in paese.
Acereta del monte Sparviere
Non si hanno notizie storiche sulla formazione dell’Acereta del Monte Sparviere, che a seguito dei seguito dei riscontri dendrometrici, effettuati nel 1993 dalla Sezione Operativa di Cosenza dell’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura, sono risultate due classi di età: 80-100 e 100-120 anni.
La scoperta si deve a seguito della discussione sull’Acereta durante la prima edizione dell’”Escursione trekking naturalistico attraverso il cuore del Pollino” da Colle dell’Impiso a Piano Tappatolo realizzata il 25 giugno 1998 da un gruppo di appassionati camminatori e tra i quali era presente il Dott. Silvano Avolio, Direttore della Sezione Operativa di Cosenza dell’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura.
Il Dott. Avolio, inizialmente fu scettico a verificare l’osservazione diretta dell’esistenza della formazione boscata ad acero, infatti si convinse a visitare l’area dell’Acereta un anno dopo nel 1989.
Una volta constatata la rilevante importanza e il riconoscimento di sei specie ha organizzato una sperimentazione che è durata dieci anni.
Ha pubblicato un interessante articolo: Le Acerete di Alessandria del Carretto - sulla rivista Pollino. ANNO II n. 6 Settembre 1993, pagine 14, 15 e 16, al quale si rimanda la lettura integrale.
L’Acereta si trova all’interno della Rete Natura 2000 – SIC “Monte Sparviere” IT9310019.
L’Ente Parco Nazionale del Pollino ha partecipato al
PROGETTO: COSTITUZIONE DELLA RETE DEI BOSCHI VETUSTI DEI PARCHI NAZIONALI DELL’APPENNINO MERIDIONALE
CAPOFILA: PARCO NAZIONALE DEL POLLINO
PARTNER: P.N. ASPROMONTE, P. N. SILA, P.N. APPENNINO LUCANO, P.N. CILENTO
e in tale documento – Boschi vetusti del Parco Nazionale del Pollino - l’Acereta di Alessandria del Carretto è inserita nell’ultimo paragrafo 8) Acereta di M.te Sparviere da pag. 20 a pag. 24.
La tradizione orale alessandrina riporta che la Festa dell'Abete ebbe inizio nel '600, quando un boscaiolo, dopo aver abbattuto un abete bianco, trovò all'interno del tronco l'immagine di Sant'Alessandro Papa Martire, morto decapitato.
Da quel giorno, ogni anno, l'ultima domenica di aprile e il tre maggio, ad Alessandria del Carretto si svolge un secolare momento comunitario scandito da lavori preparatori, riti collettivi, cerimonie religiose e momenti spettacolari.
La partecipazione della comunità è totale e diverse generazioni di alessandrini dedicano al loro Santo patrono un abete bianco: esso viene ritualmente scisso in due parti: il tronco e la cima che sono trasportati, a forza di braccia, fin dentro al centro abitato, dove verranno ricomposti e innalzati, scalati e riabbattuti.
Intorno all'albero si ristabilisce l'identità culturale di una comunità e il suo senso di appartenenza al territorio. La Festa della Pitë è un evento festivo che dura per circa un mese e prevede eventi rituali ripetuti annualmente per celebrare i simboli della comunità.
Possiamo divere la Festa della Pitë in diverse giornate:
Il carattere di straordinarietà della festa, ciò che infine costituisce il senso e il motivo della sua ripetizione efficace, proviene dalla scelta di voler riutilizzare i soliti simboli per continuare a reinventarsi come individui storici e sociali.La festa dell'abete, tuttavia, veicola, oltre ai valori dettati dalla tradizione culturale locale, anche quelli contemporanei della tolleranza culturale ed è divenuto un momento di riflessione per la comunità che, ridotta e geograficamente frammentata, include l'alterità e la fuoriuscita ragionevole dalle regole tradizionali a salvaguardia della propria possibilità d'esistenza. Infatti, se prima le donne apparivano nella festa soltanto all’arrivo della “pite” alla Difisella, durante i momenti festivi di carattere religioso e quando la festa era finalmente in paese, oggi la presenza femminile è accertata, in maniera attiva, come durante la fase del trasporto dell’albero. Se, inoltre, precedentemente la presenza dei “forestieri” era quasi osteggiata nelle fasi rituali della festa mentre veniva tollerata e favorita soltanto durante i momenti religiosi e ludici come quello della scalata della “pita”, oggi i “forestieri” sono addirittura invitati ad assistere alla festa e a partecipare anche attivamente a quasi tutte le varie fasi festive.
La Festa dell'Abete è stata candidata nel 2011 nella Lista del patrimonio culturale immateriale dell'UNESCO". Si è in attesa che il Comitato Intergovernativo valuti la proposta.
Radicazioni, festival delle culture tradizionali, ogni anno ha luogo dal 20 al 22 agosto. Radicazioni è organizzato dall'Associazione Culturale "Francesco Vuodo-Tillë Tillë"[5]; La prima edizione si è tenuta nel 2003 ed ogni anno si è ripetuto ad eccezione del 2015, anno nel quale per vari motivi non si è tenuto. Questo festival viene articolato in 3 giornate nelle quali le strade del paese vengono animate da gruppi musicali di vario genere, artisti di strada, bancarelle di prodotti artigianali come, per esempio, gioielli fatti interamente a mano, spettacoli di intrattenimento per grandi e piccini, dibattiti di vario genere e, durante le ore serali, vengono tenuti concerti di musica tradizionale, popolare e non solo. L'associazione organizza anche uno stand per la distribuzione di vino locale, birra e panini di vario genere. Radicazioni attira nel piccolo borgo centinaia, migliaia di turisti in cerca di divertimento e svago che, insieme agli alessandrini, portano fervore per le strade e per i vicoli del paese. L'associazione culturale negli ultimi anni ha, inoltre, organizzato un evento invernale: "Iamë 'nni suenë" finalizzato ad un autofinanziamento per il festival dell'anno successivo. Questo si è tenuto gli ultimi 3 giorni di dicembre completato con un veglione di attesa dell'anno venturo, anche questo evento annuale è vivacizzato da canti e balli delle varia tradizioni italiane e non solo.
Questa tradizione risale alle origini del borgo, tramandata di generazione in generazione fino ai giorni nostri. Il carnevale alessandrino è un misto di tradizioni e leggende, di sacro e profano che si articola dall'unione e dal contemporaneo scontro di diverse maschere.
La figura dei Belli incarna l'apollineo, l'impulso della bellezza, la primavera."La maschera dei Belli rappresenta un'esperienza catartica, mostra il sublime e il divino. Il loro scopo è quello di riuscire a proiettare la realtà in un mondo fantastico che popola i sogni degli uomini, di creare un incantesimo tra la folla, un mondo magico e meraviglioso" (G.Sole). La maschera dei beli era legata a determinate famiglie di Alessandria che tramandavano l'arte del vestirsi e del ballo di padre in figlio. Il vestiario di questa maschera è complesso: il copricapo, la maschera lignea e lo "scriazzo" sono di proprietà del pulcinella, mentre il resto dell'abbigliamento è prestato per l'occasione, solitamente dalla famiglia alla quale il pulcinella è legato da un vincolo sentimentale. Ogni parte del corpo deve essere celata al pubblico. In passato, questa maschera era indossata dal promesso sposo e quindi molte parti del costume appartenevano alla famiglia della futura sposa: scialli e fazzoletti di seta antica, non mancavano, inoltre, in alcuni casi monili in oro. Le maschere belle trasmettono soggezione e inquietudine a chi le guarda. Il corteo è organizzato in modo militaresco. Guidati dalla figura "du gëgandë”, la maschera più alta e bella, il quale raduna tutti gli altri belli, si muovono in corteo una fila per due saltellando e tenendosi l'una a l'altra dal mignolo verso la casa della sposa. Il corteo è accompagnato da vari suonatori ed, in particolare, un suonatore di surdulina. Una volta radunato tutto il corteo le maschere si dirigono in punti strategici del paese, il suono del campanaccio indica il loro arrivo, campanaccio che viene reso muto durante il ballo. La danza dei belli è una tarantella posata e lenta, i passi sono ben legati al terreno e in alcuni momenti della danza la terra viene percossa, quasi a volerla risvegliare. "U scriazzë" è l’unico oggetto che permette le maschere di entrare in contatto fisico con la gente, i pon-pon posti all'estremità dello stesso sfiorano le teste, “infilzano" i cappelli degli uomini che poi vengono portati in giro per la piazza, tutto in segno di buon augurio. All'imbrunire i Belli si levano la maschera lignea facendosi riconoscere alla comunità, la divinità si mescola all'uomo. Con il viso scoperto si iniziano le serenate di buon augurio alle famiglie che in precedenza hanno donato in prestito le parti del vestiario.
L’Ursë, un uomo robusto camuffato da animale con caratteristiche ed elementi che ne esasperano le fattezze brutali. Il volto annerito dalla fuliggine, il corpo ricoperto da più strati di pelli di capra, con in testa vistose corna di caprone. Alla cintura sono attaccati dei grossi campanacci ed è legato a pesanti catene: “I kemastrë". Veniva trascinato e rincorso per le vie del paese da alcuni cacciatori. L'Urse rappresenta la forza oscura della natura, del bosco, l'entità mostruosa che va domata. Si avvicina con modi violenti alle persone cercando di mettere terrore, alcune volte sfugge al controllo dei cacciatori e raggiunto viene dileggiato e bastonato sulle spalle, cadendo a terra finge di essere morto ma dopo poco si rialza e ricomincia il caos. Dopo vari cicli l'uomo animale viene allontanato dal perimetro conosciuto della comunità e con esso tutto quello che la comunità teme e che lo stesso Ursë rappresenta.
L'Incarnazione della Quaresima, figura che indica la fine del periodo carnevalesco, veste le sembianze di una vecchia cenciosa, gobbuta e zoppicante, indossa l'abito nero del lutto con viso tinto dal nero fumo. Questa figura entrava in scena il martedì grasso, ultimo giorno dei festeggiamenti carnevaleschi. Gira tra la gente colpendo gli astanti alle gambe con un grosso fuso, nella cinta ha legato una grossa forbice da tosatura con la quale mima il taglio del filo raccolto nel fuso. Alla vista di questa maschera le persone gridano: "Coremmé a pedë toartë chi ci faijë devantë e stë portë?” e lei risponde: "Ci mangë e ci vivë e c songhë u matinë". (Quaresima la zoppa, che cosa ci fai davanti a questa porta? Ci mangio e ci bevo e ci suono il mattino). All'imbrunire alcuni uomini sparavano con i fucili in aria, speramë e Coremmë.. spariamo la Quaresima. Gli spari ponevano fine al carnevale.
I brutti sono la controparte dei belli, rappresentano la disorganizzazione, il caos, il frastuono, il dionisiaco. Il corteo dei brutti era in passato accompagnato dalle zampogne a chiave, il loro ballo era disordinato, stereotipava movimenti grotteschi. Entravano in scena appena i belli andavano via, le due figure non entravano mai in contatto né visivo e né fisico, in realtà le due figure sono indissociabili, l’una si caratterizza in modo da contraddire l'altra. I brutti vestono con panni vecchi, stracci, il viso tinto di fuliggine o coperto di stracci a uso di maschera. Camminano curvi come fossero storpi scatenano lo scompiglio e la paura degli spettatori, riempiono l'area di polvere e grida. La messa in scena dei Belli e Brutti è una lotta rituale, tra la ricchezza e la povertà, tra la primavera e l’inverno, tra la luce ed il buio, tra l'ordine ed il disordine.
A partire dall'Unità d'Italia il paese ha perso oltre 1.000 abitanti in poco meno di centocinquant'anni a causa di un forte flusso di emigrazione. Rappresenta il comune dell'Alto Ionio Cosentino con maggiore perdita di popolazione, visto che dal 1991 al 2008 essa si è quasi dimezzata, e dal 2001 al 2007 ha fatto registrare un calo del 18,3%.
L'evoluzione demografica del comune dal 2002 al 2011 (al 31 dicembre di ogni anno) è la seguente:
Abitanti censiti[6]
Periodo | Primo cittadino | Partito | Carica | Note | |
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27 maggio 2019 | in carica | Domenico Vuodo | lista civica | Sindaco | |
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